di A M A R
Il mondo che si osserva attorno, nel tempo del solleone al mare, è sereno, ciarliero, ozioso; si ammira il cellulare – dipendente, in adorazione dell’inseparabile “aggeggio” d’ultima generazione, ci sono i patiti della tintarella in arrosto, da mostrare con malcelato sussiego (le donne) ai colleghi d’ufficio oppure (gli uomini) ai pallidi amici del bar sottocasa; c’è persino il serioso dirigente d’azienda che, in aiuto al pargolo, costruisce castelli di sabbia. Sotto lo stesso sole cocente, eccolo, in altre faccende affaccendato, il vu cumprà, oppresso da una catasta di teli da spiaggia, che tenta di sconfinare, a scopo di lucro, la birba, tra gli ombrelloni. Puntuale arriva il fishio del nerboruto bagnino che ne sancisce l’immediata espulsione per indebita invasione di campo e disturbo alla quiete della adagiata clientela.
Somiglia spiccicato, quel venditore ambulante, all’altro e agli altri che, nello stesso tempo d’estate, in talune campagne italiane, raccolgono prodotti agricoli, durante dieci ore filate e il resto del giorno lo passano nei ghetti dove la vita sa di primitivo e selvaggio. In spiaggia, sparse le membra morbide, ci si gode il ristoro dal travaglio, mentre sui campi di pomodori il diritto al lavoro e i suoi ritmi, li detta l’arcigno caporale. E allora diamogli un’occhiata al degradato e degradante destino dei derelitti senza più patria, che hanno scavalcato continenti, allo scopo, spesso naufragato in mare, di campare un po’ meglio di prima. Per essi l’appellativo è di lusso: braccianti stagionali. Il modo di esistere invece, di scarsa umanità. E’ stato scritto: “Con la loro fatica ci danno da mangiare e noi neppure da bere, quando l’ombra si riscalda intorno ai 40 gradi”.
Se le cronache parlano di qualcuno morto di estrema spossatezza o di malattia senza sanità, l’opinione pubblica e la morale corrente s’indignano; poi i birilli vengono riposti sul bigliardo e il gioco continua a dispensare lauti guadagni a coloro che il gioco organizzano. Non sono pochi i poveri cristi schiavizzati, quasi fossimo nelle piantagioni di cotone americane. Una forma occulta di moderno terrorismo razzista. Nei ghetti si osserva il disagio, di giorno e di notte, dove tutto si muove nella legge sospesa, così come sospesa è la dignità. Non esclusa la violenza e il regolamento dei conti di stampo camorristico. Nell’anonimato che nasconde e fa paura. Chi è andato nel territorio, si è sentito dire: “Si lavora tutti i giorni, pure la domenica. Tanta fatica e pochi soldi, male alla schiena e alle mani, terra e sudore. Allora ci vuole piccola sostanza per non provare dolore”. Così i tossicodipendenti sono aumentati di numero. Compresi i suicidi degli anni passati.
Ora c’è chi tenta di scardinare il sistema di sfruttamento nel rispetto delle norme legali e morali, anche aggregando aziende sotto la formula NO CAP, dove Cap sta per caporalato. Ma non basta. Ci vuole una efficiente organizzazione di controllo e l’adozione di nuove tecnologie. Esiste una stima pari ad una denuncia: in Italia, il sommerso supera il 12% dell’economia totale e un affare lucrato dalle agrimafie pari a 24 miliardi e mezzo. Per questo tipo di manodopera, il “prima gli italiani” di Matteo il Vecchio è stato sostituito da prima gli extracomunitari, affiancati da bulgari, rumeni e qualche “disperato” dei nostri. Discutere qui di cittadinanza si, cittadinanza no è una fanfaluca. Business is business e quindi vietato disturbare il manovratore.
Ora torno sotto l’ombrellone, onde annotare qualcosa che di serio non ha nulla. Riguarda la bizzarra (a dir poco) proposta avanzata da un’Eccellenza Sottosegretario del Governo Draghi. A giudicarla dall’aspetto, l’Eccellenza, sembra un corpulento bonaccione. Però quando esprime idee di caratura politica, si fa apprezzare per l’originalità. In Parlamento rappresenta la Lega dell’anzidetto Matteo. In passato è stato simpatizzante del M.S.I. e di A.N. Proprio da siffatte simpatie pare aver tratto questo suggerimento: nella sua città d’origine, Latina, c’è un parco pubblico intitolato a Falcone e Borsellino. Secondo l’Eccellenza Sottosegretario, i due nomi andrebbero rimossi e sostituiti da quello di Arnaldo Mussolini, fratello di Benito, con lo scopo evidente di rendere un doveroso omaggio al dittatore. In tal modo, i latinensi, nel tempo libero, potrebbero andarsi a spupazzare nell’Oasi Mussolini. Magari all’ombra di qualche monumentale fascio littorio.
Perché, appena dopo l’operazione di restauro ambientale degli anni ’20 e ’30 del ‘900, l’attuale Latina si chiamò Littoria. Il regime – in quei luoghi s’era formata una palude di 34.000 ettari – si giocò tempo (quasi 11 anni), denaro e molto prestigio politico. I lavori vennero affidati all’Opera Nazionale Combattenti (e a chi sennò, essendo noi un popolo di guerrieri in servizio permanente effettivo?). Onde portare a termine l’operazione Ager Pomtinus, ci vollero diversi milioni di giornate – operaio e decine di migliaia di lavoratori provenienti soprattutto dalle regioni povere e sovraffollate del settentrione; stessa derivazione dei coloni che l’abitarono. Previo – si coglie in un opuscolo d’epoca – “disboscamento, sterratura, dicioccatura (?), dissodamento dei terreni, sistemazione idraulica” (tra l’altro, 18 idrovore di sesquipedale potenza).
Sorsero pure Sabaudia, Pontinia, Aprilia e Pomezia, una dopo l’altra inaugurate, pancia in dentro e petto in fuori, dall’uomo mandato dal destino (cinico e baro). Al quale, l’ineffabile Eccellenza Sottosegretario vorrebbe rendere il dovuto ossequio con il cambio della targa, da Falcone e Borsellino ad Arnaldo Mussolini. Qualcuno vuol riferirgli, cortesemente (anche al populista Matteo il Vecchio, suo sodale) che, in Italia, il regime in orbace è caduto da un pezzo e soprattutto è finito malamente? E informare l’Eccellenza che lui fa parte del Governo democratico della Repubblica Italiana. Nella denominazione odierna, il termine Sociale è stato soppresso.
Adriano Marinensi