Di AMAR – Pronti, partenza, via: Sono andate all’arrivo le prime due delle 14 gare automobilistiche del Campionato di Formula E, previste per la stagione 2019 – 20. La lettera E – ormai lo sanno in tanti – sta per elettrico, il motore del “futuro anteriore”, destinato a sostituire quello a scoppio. L’elettrificazione del traffico non è più un’era di là da venire e tali manifestazioni sportive rappresentano un fattore promozionale di valore strategico. Ormai, l’operazione di tendenza sta nella graduale, però irrevocabile, sovvertimento della circolazione da inquinante e rumorosa a silente e ad impatto zero. I timori che alimentavano la diffidenza sono stati rimossi.
Le competizioni hanno dato testimonianza della potenza ed affidabilità della nuova tecnologia, applicabile in sicurezza nella produzione industriale. La bandiera è issata. Non sono ammesse incertezze e ripensamenti. La parola d’ordine è: Più “elettrico”, meno “scoppio”; più quiete, meno baccano. Sembrava quasi una utopia, invece è diventato il traguardo obbligato di questo mezzo secolo, se si vuole eliminare una delle componenti negative che oggi ipotecano la vivibilità urbana e non solo, con rischi dimostrati sulla salute individuale e collettiva. Nei vantaggi strategici della propulsione elettrica ormai credono le maggiori case automobilistiche. Ne fa fede la partecipazione alle gare di Formula E del gota mondiale: Audi, Bmw, Mercedes, Nissan, Porsche, Jaguar ed altre verranno sicuramente. Ormai stanno passando dalla fase di sperimentazione al mercato. Paesi autorevoli convalidano le garanzie con i loro grandi costruttori, dalla Germania al Giappone, alla Cina. Si correrà in Europa, negli USA, in Asia, in Africa a testimonianza dell’interesse crescente, non soltanto degli sportivi, ma dell’opinione pubblica.
Come in ogni “rivoluzione”, anche in quella del trasporto su gomma, ci sono problemi da risolvere. In primo luogo, l’efficiente e capillare rete di distribuzione dell’energia che dovrebbe affiancare le esistenti a carburante tradizionale. L’impresa non è di normale amministrazione. La velocità di ricarica dovrà essere breve per non costringere l’utenza a soste inaccettabili; poi, durata delle percorrenze, prezzi d’acquisto contenuti e sostenuti fiscalmente. Andando verso la diffusione dell’elettrico, dovremo anche far fronte alla maggiore richiesta di energia prodotta attraverso fonti rinnovabili. Ci sono problemi e c’è una innovativa mobilità da realizzare: serve il pieno convincimento dei cittadini (del mondo) per compiere l’operazione. Rappresenta il futuro più vivibile per tutti, una avanzata soglia di civiltà e di benessere. E di tutela della salute, in quanto, ci dice ormai all’unisono la scienza medica, l’inquinamento uccide. Come per il tabacco, la scritta andrebbe riportata sopra un cartello per ogni ingresso stradale.
Ora dal moderno, modernissimo, passiamo al passato remoto (seguitemi, per favore) dove vorrei ripescare una immagine ormai sbiadita e “fuori corso”: L’amanuense, il manovale della scrittura che ha dato un contributo essenziale nel custodire e tramandare la storia della cultura. Del prima e del dopo Cristo, quando tutto si scriveva a mano. Durante il Medio Evo, la professione dell’amanuense venne esercitata soprattutto nei cenobi, nei monasteri, nelle certose. Per taluni di bella ortografia, più di un mestiere, un’arte: il miniaturista ne fu figlio illustre. Neppure Gutemberg, inventore della stampa a caratteri mobili, riuscì a cancellare la produzione dei manoscritti.
Dalle mie parti, quando il leggere e lo scrivere non erano patrimonio di tutti, nell’Ufficio postale, ci trovavi il vecchietto che, in cambio di qualche soldino, ti compilava il vaglia oppure la lettera per il figlio soldato. Totò, in una Napoli inventa mestieri, la figura dello scritturale per conto terzi, l’ha immortalata in un film. Nei tempi, non remoti, anche il far di conto veniva eseguito con la penna in mano. Oggi quanto fa sei per otto lo chiediamo alla calcolatrice incorporata nell’onnipresente cellulare. Ai più anziani la domanda: Ce l’avete presente il segretario galante, quel libercolo che conteneva lettere d’amore per ogni passione? Prendevi carta, penna, inchiostro, il cuore in mano, la tua fregola e la trascrivevi con la migliore calligrafia sognante.
Comunque, l’esercito degli amanuensi, seppure decimato da preponderanti forze nemiche, ha resistito a lungo eroicamente. Sino al recente giorno della resa inevitabile e incondizionata. Il giorno ch’è comparsa – scompaginatrice più degli elefanti di Annibale – l’arma letale chiamata computer. L’ordigno barbassoro che, se Pasqua la scrivi con la “c” e scuola con la “q”, ti da del somaro, sottolineando in rosso la parola come faceva la maestra delle mie elementari. Appena pochi anni orsono, se c’era urgenza nel corrispondere, si diceva “spediscimi un espresso”; più avanti, “fammi un fax”; ora, “mandami una e-mail” oppure “un messaggino” (SMS). La posta più veloce della luce. A stare a sentire il pensiero avanguardista, pure questo è irrefrenabile progresso. Però, per certi versi, un progresso assassino. Che ha ucciso il mestiere dell’amanuense, raffinato calligrafo, e pure del nonnetto senza pensione, pateticamente utile, che cercava di buscarsi la pagnotta nell’ufficio PP e TT. Forse – insieme al segretario galante – l’ultimo testimone di una stirpe romantica. Come l’ultimo gregge e l’ultimo pastore che non ho più trovato, salendo d’estate sul Terminillo. Confesso, con un po’ di malinconia.