di Francesco Castellini – Non v’e dubbio alcuno che la Sanita umbra continui ad essere afflitta da mille piaghe.
Si va dalla carenza di medici e infermieri, a professionisti eccellenti che se ne vanno, alle interminabili e sempre più insopportabili liste di attesa. E, considerato il fatto che farsi curare non e mai una scelta ma una necessità, il più delle volte impellente e inderogabile, va da sé che ritrovarsi bloccati su un binario morto, e dunque tentare di intraprendere strade alternative e parallele, è ormai diventato non solo legittimo ma prassi collaudata e accettata come una procedura normale.
E uno degli “espedienti” piu gettonati negli ultimi tempi da tantissimi pazienti è di sicuro il ricorso alle visite specialistiche in intramoenia. Sì perché con tale termine si intende l’attività privata svolta da medici assunti a tempo pieno nell’ente pubblico e realizzata generalmente nello stesso luogo di lavoro.
Il legislatore, con questo tipo di intervento, ha voluto in qualche modo premiare i camici bianchi che prestano la loro attività in ospedale. Un tipo di regime che sicuramente contribuisce a sveltire le visite di carattere specialistico. Le prove non mancano.
Secondo un’indagine condotta da “Il Sole 24 Ore”, per effettuare una visita cardiologica all’ospedale occorrono in media cinque o sei mesi. Però se si richiede una visita nello stesso reparto in intramoenia i tempi improvvisamente si abbreviano e tutto si risolve nel giro di ventiquattro ore. Una soluzione che a ben vedere non riesce comunque a far fronte al problema delle liste d’attesa. Secondo Giuseppe Garraffo della Cisl «l’errore sta nel fatto di aver pensato che l’intramoenia potesse creare un’automatica riduzione delle liste. Ma così come è organizzata oggi, l’intramoenia rischia di creare, invece, una sorta di complicità tra il medico e l’azienda sanitaria per cui lavora. La libera professione svolta all’interno dell’ospedale si sta infatti dimostrando un’importante fonte di entrata per le strutture pubbliche. Un fatto che potrebbe avere l’effetto di “distrarre” i direttori generali dal problema delle liste».
E che dire poi dei costi, che ovviamente lievitano.
In Umbria le prestazioni sono pagate in media 200 euro, che poi è il tetto massimo che nel 2014 era stato introdotto dalla Regione per una singola visita ambulatoriale. Ma si può arrivare a spendere anche molto di più, visto che il prezzo del servizio aumenta in base al grado di complessità, ai farmaci e ai macchinari impiegati.
E, nota dolente, non esiste un tariffario comune.
Tanto che tra i nosocomi di Perugia e Terni e le Usl è una sfida a chi la spara più grossa.
Per fare qualche esempio: Laura Paglieci Reattelli per una consulenza medico legale di alta complessità per casi di responsabilità professionale fa pagare 2.715 euro.
Annamaria Verdelli per la consulenza per responsabilità medica 3.500 euro.
E se 300 euro è il prezzo di una diagnosi anatomo-patologica estemporanea di Angelo Sidoni, all’ospedale di Terni Alessandro Andrisano mette agobiopsia e cistoscopia a 350 euro.
Discrepanze che hanno indotto la Regione a concepire un piano straordinario per abbattere le liste d’attesa.
Lo fa sapere l’assessore regionale alla Salute, Coesione sociale e Welfare, Luca Barberini, anticipando all’Ansa qualche dettaglio.
Barberini parla di un «modello Rao “a chilometri zero”, con particolare attenzione ai cittadini piu fragili”, per assicurare loro il servizio richiesto entro i limiti temporali stabiliti, senza uno spostamento eccessivo rispetto alla residenza. Il Piano straordinario punta inoltre sulla revisione dei Raggruppamenti di attesa omogenei per renderli piu efficaci rispetto ai bisogni di salute dei cittadini».
Prevista poi un’accelerazione sulle nuove tecnologie per assicurare esami «piu veloci e appropriati», cosi come l’ampliamento degli orari e delle giornate in cui vengono aperti gli ambulatori, la presa in carico da subito del paziente che esegue esami con l’attribuzione delle successive date di controllo, abbattimento delle barriere burocratiche anche attraverso un potenziamento del Nus (Numero Umbria Sanità) 800636363.
Verranno poi aumentate le prestazioni incluse nei “Rao”, garantendo adeguati tempi di attesa sia per attività urgenti sia per quelle che rispettano i criteri di priorità (classe B e D, rispettivamente 10 giorni e 30-60 giorni), prevista l’assunzione di professionisti ad hoc (medici, tecnici e infermieri) e la rivalutazione del numero e della tipologia della casistica contrattualizzata con le strutture accreditate, convenzionate con il Servizio sanitario regionale.
«La riduzione delle liste d’attesa – sottolinea Barberini – è una sfida che non possiamo vincere soltanto governando l’offerta, mettendo cioè a disposizione sempre più professionisti e risorse. Ma dobbiamo farlo anche attraverso una maggiore collaborazione con medici di base, pediatri e specialisti, il cui ruolo è centrale, che devono aiutarci anche a far capire ai cittadini quali prestazioni sono realmente necessarie, perché ancora oggi tante delle richieste e delle attività espletate risultano inappropriate. L’obiettivo è la progressiva riduzione dei tempi attesa, nella consapevolezza che anche le prestazioni non urgenti e prioritarie non possono essere soddisfatte in tempi estremamente lunghi. È inoltre necessario riorganizzare e mettere in rete le varie strutture, prevedendo una più ampia collaborazione dei professionisti per l’uso ottimale degli ambienti e dei macchinari, anche con un maggiore utilizzo del teleconsulto e in generale della telemedicina».
Quasi mille assunzioni nell’arco di tre anni. Questa e la richiesta alla Regione avanzata dalle Aziende sanitarie locali. Il loro “Piano del fabbisogno di personale” parla di 967 nuovi dipendenti per tutta l’Umbria. Ma un invito a non farsi troppe illusioni arriva proprio dall’assessore regionale alla Sanita Luca Barberini, che in una nota ricorda come i soldi per così tanti contratti non ci sono e inoltre ricorda che la Regione ha le mani legate.
«Nel nostro Paese c’è un vincolo di spesa normativo che ci impone di non spendere per il personale quanto veniva fatto nel 2004. Un tetto che a volte finisce per penalizzare proprio le regioni più virtuose come l’Umbria, ma di cui dobbiamo necessariamente tenere conto, per cui paradossalmente se anche avessimo i soldi, non potremmo spenderli come vorremmo».