Sarà presentato ad ottobre il nuovo libro di Nicola Castellini, dal titolo le “Cinquanta poesie”, un lavoro che si muove tra tradizione lirica e rottura avanguardistica.
Come scrive Barbara Bracci: “Si tratta di una fusione in versi tra poesia e vita. Senza retorica e senza eccesso di spasmo l’autore si pone sul piano del vissuto, il proprio come quello di qualcun altro, tra sentire individuale e sentimenti di portata universale. Non senza una sottile ironia di base, motore, insieme al pathos, di questa raccolta, contemporanea nel linguaggio ( tra gergo, riferimenti spaziali, segni grammaticali), eppure, allo stesso tempo, cosmica. Una poesia spesso dall’impatto forte, che al contempo entra in punta di piedi, con sensibilità profonda, nella verità delle cose: se ne prende gioco, con il sorriso amaro di chi, in fondo, ama questo mondo, nella sua moltitudine, con una pietas che abbraccia tutti, dietro il suo urlo panico, con estremo garbo”.
POSTFAZIONE
di Bruno Mohorovich
Quando si finisce di leggere un qualsivoglia libro – nella fattispecie le poesie di Nicola Castellini – si rimane per alcuni attimi, come sospesi. Lo si chiude, se ne accarezza la sovra copertina e subito dopo lo si sfoglia nuovamente, senza soffermarsi necessariamente sull'una o l'altra poesia…poi, chiudendolo, lo si soppesa e lo si ripone, lì dove mettiamo a giacere le nostre memorie letterarie. Qualcosa quel libro, questo libro, ci ha lasciato e nel caso dell'autore si avverte subito uno stridìo di sentimenti che martellano il lettore in termini ora dissacranti – vedi la “dedica” di Bukowski – ora dolci note che registrano le vibrazioni d'una natura mite che pare confarsi all'animo – comunque tormentato – del poeta. Un susseguirsi di emozioni ch'egli aggettiva all'interno di versi che paiono sconnessi e dis-connessi, rilanciati da un contrasto che sembra emergere tra il suo vissuto e quello che vorrebbe essere ma non può, o non vuole. Nei suoi de(l)dicati ritratti, lascia scivolare la penna delineando con parole essenziali, penetranti e pervase d'insospettabile dolcezza, la sua più profonda intimità che lo porta a perdersi oniricamente negli elementi naturali. Parole con cui egli gioca in una (s)composizione al limite del paradosso ben oltre il surreale, e che conia con divertita e divertente semplicità. Invero, rigetta in termini secchi e talvolta crudi, il suo sentito, non camuffando la sua rabbia, che talora sfocia in acredine, quando palesa disagi sociali destabilizzanti; qui le parole si contorcono al liminare dell'incomprensibile e proprio in questa circonvoluzione verbale sta la forza di Nicola Castellini che esprime così la sua ribellione – lanciando finanche ammonimenti – ad una vita che configura in una notte “agghiacciante, alcolica, devastante”, la quale pare molto togliere e poco concedere se non lacrime di solitudine che ne rigano i fotogrammi in B/N come in un film noir hollywoodiano. Maledetta la poesia di Nicola che setta esistenze votate sì alla sconfitta, alla disillusione, all' impossibilità di una “non – resurrezione”, ma ch'egli, quasi con ferocia, finisce col ripudiare elogiando “La potenza della vita /il soffio felice /che ogni dì /ci regala il giorno /e io /fortunato /che ho la voglia /di leggere /e la possibilità”.