Di Adriano Marinensi – Se l’ inusitata vicenda, qui di seguito riassunta, fosse rappresentata in un film, il primo a comparire sullo schermo sarebbe l’elenco dei “personaggi ed interpreti”.
I protagonisti verrebbero annunciati così, in ordine di apparizione: don Rodrigo de Borja e Doms, alias Papa Alessandro VI, la sua amante storica Vannozza Catanei, l’amante giovane Giulia Farnese; poi il fratello dell’amante giovane Cardinale Alessandro, i figli più noti di don Rodrigo Papa, Cesare e Lucrezia Borgia, avuti, insieme ad altri, dalla suddetta Vannozza. Dunque un cast, meglio una combriccola, molto bene assortita e, come vedremo, dedita al gozzoviglio, alla concupiscenza, all’ammazza, ammazza. Un baccanale, il loro, di potere, intrighi e ricchezza.
Nel 1492, quando Cristoforo Colombo scopre l’America (12 ottobre), i Reverendissimi Padri, riuniti in Conclave, pongono don Rodrigo Borgia sul soglio di Pietro (11 agosto). E’ lui il primo attore di questo melodramma andato in scena tra le auguste e sante mura vaticane. E’ nato nel 1431, in Spagna da nobile famiglia. Lo ha nominato Cardinale, nel 1456, suo zio Callisto III. Intrallazza assai per accumulare un sontuoso patrimonio con il quale pare abbia brigato per farsi eleggere Santo Padre. E per stare più tranquillo sul trono di Papa – Re, giostra egregiamente con incarichi e prebende ai pargoli suoi e ad alcuni parenti. Un nepotismo esagerato. Come la “famiglia allargata” dei tempi moderni. Agli epiteti di gaudente, libertino e licenzioso, popolarmente noti, Girolamo Savonarola aggiunse quelli di “simoniaco, eretico e infedele”. Vive una vita molto sopra le righe, more uxorio con Vannozza Catanei e si trastulla con l’amante Giulia Farnese, di quarant’anni più giovane. Non per caso, sopra lo stemma pontificio c’è un toro dorato. Una situazione quanto meno paradossale che rifugge da ogni agiografia che parli di beatitudine e di virtù.
C’è un po’ di Umbria lungo il percorso di questo anomalo esemplare di Vicario del Signore. Per affrescare, con sfarzo ed arte, il palazzo papale, Alessandro VI chiama, da Perugia in Vaticano, Bernardino di Betto (il Pinturicchio) che realizza, in alcune delle sontuose stanze, opere divenute famose. Altro personaggio umbro, incastonato nella storia, è Giampalo Baglioni, uno dei membri della congiura ordita contro Cesare, riuniti a Magione. Ed ecco Vannozza, la quasi moglie. Mangia e dorme con Sua Santità e lo assiste amorevolmente vita natural durante. Ha avuto due mariti, però i rampolli di maggior lignaggio sono nati in Vaticano. E’ dama austera e paziente, costretta a subire la concorrenza sovrastante della quasi fanciulla Giulia Farnese.
Giulia, chiamata la bella e in altri modi che non posso scrivere, è sposata con Orsino della nobile casata degli Orsini, il quale, pur sapendo della tresca con don Rodrigo, gli tocca abbozzare. Le procaci grazie dell’ “efeba” sono per lo spasimante in abito bianco, come una droga, non ne può fare a meno. Giulia ne approfitta per ottenere qualche bene al sole e la coppola cardinalizia per il fratello Alessandro, pure lui un maneggione d’alto rango che, più tardi, diventerà Papa Giulio III. Tra una lusinga e l’altra, Giulia la bella regala al Pontefice – quasi non ne avesse già abbastanza di figli – una vivace bambina, alla quale lei lascerà un discreto gruzzolotto. Ed al germano Alessandro che, dopo la morte dell’Alessandro Pontefice, l’ha giubilata, soltanto l’alcova sacrilega, testimone di infuocati tramonti.
Ora, facciamo entrare in scena un altro Borgia nefasto: Cesare, detto il Valentino, ispiratore de “Il Principe” di Machiavelli (bell’esempio ti sei scelto, Niccolò !). La storiografia lo racconta come figuro ambizioso, mestatore, senza scrupoli, incline al tradimento e all’assassinio se le circostanze lo richiedono. Quindi, degno figlio del padre suo. A 16 anni è già Vescovo e don Rodrigo, appena diventato Alessandro VI, lo veste da Cardinale e lo manda a fare il Governatore di Orvieto. Nelle grazie del Papa lo precede il primogenito Giovanni, Duca di Gand. C’è chi ha sostenuto sia stato proprio Cesare a farlo passare, per invidia, a fil di spada. Ad uno dei mariti pro tempore di sua sorella Lucrezia (Duca Alfonso di Bisceglie) riserva una fine analoga. In quel di Senigallia, questa specie di “feroce Saladino” elimina, in un colpo solo, diversi pezzi di nobiltà che gli sono contrari. Le imprese delittuose di Cesare Borgia finiscono alla scomparsa del Papa – papà. Machiavelli, oltre a “Il Principe”, dedicò a Cesare la “Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nell’ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il Duca di Gravina Orsino”.
Ed eccolo l’ulteriore campione di sciaguratezze della famiglia Borja y Doms: Lucrezia, passata disinvoltamente da un talamo all’altro, spesso per utilità e convenienza. Il solito Papa – papà l’ha promessa sposa allo spagnolo don Cesare, Conte di Aversa; poscia cambia idea, maritandola (ha soltanto 13 anni) a Giovanni Sforza, onde suggellare una furbesca alleanza politica. Salvo a dichiarare nullo – motu proprio – questo imeneo per celebrarne subito un altro (Lucrezia ha 18 anni) con Alfonso d’Aragona, figlio, ovviamente illegittimo (i lupi – diceva mio nonno – si chiamano da una montagna all’altra) del Re di Napoli. A rendere vedova Lucrezia ci pensa – come sopra detto – quella brava persona di Cesare, il Valentino.
Nel frattempo, Lucrezia è diventata Governatrice di Spoleto e convolata di nuovo a nozze (ha 21 anni) con un altro Alfonso di casa d’Este. Nel breve periodo trascorso a Ferrara, la torbida avvelenatrice romana, pare sia diventata una dignitosa Duchessa. La plurimaritata signora Borgia muore (d’aborto), a soli 39 anni, dopo un periodo trascorso in Convento a chiedere perdono “per li peccati de questa nostra etade”. Meglio sarebbe stato invocare il Creatore per la pessima riuscita del suo (di Dio) rappresentante in terra, Alessandro VI, e dell’intera famiglia Borgia, fulgido esempio di marcata devianza dai valori della dottrina e della tradizione cristiana. Insomma, le gesta scomposte di don Rodrigo, Vannozza, Giulia, Lucrezia e Cesare, ivi compreso il Cardinal Alessandro Farnese del tempo di gioventù, sono state scritte sopra una pagina di storia del Pontificato che sarebbe proprio il caso strappare.