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Home » La povertà non ha le rughe
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La povertà non ha le rughe

admin03 Mins Read
 
 
 

di Francesco Castellini – In Italia la povertà ha il volto giovane. Forse per la prima volta si registra una tendenza anomala: più sei anziano, più aumentano le possibilità di vivere bene.

 
 

I dati sono emersi nel Rapporto 2016 sulla povertà della Caritas. I numeri confermano una tendenza che va avanti ormai da anni. Si riscontra che il 10% di chi ha meno di 34 anni è un povero assoluto. E così, se in tutto sono 4,5 milioni i poveri totali, di questi il 46,6 per cento è sotto la soglia dei 35 anni. Sono 2,1 milioni di individui, di cui 1,1 milioni addirittura minori. Stessa cosa che ha rilevato l'Istat, che segnala l'esistenza in Italia di 1 milione e 582 mila famiglie povere – il numero più alto dal 2005 – rilevando proprio l’elemento inedito dell’avanzata dei giovani poveri: 10,2% l’incidenza della povertà assoluta tra i 18-34enni, che cala all’8,1% per la fascia 35-44 e così via diminuendo fino al 4% dei over 65.
E ciò si spiega col fatto che la persistente crisi del lavoro ha penalizzato e sta ancora penalizzando soprattutto i giovani e giovanissimi in cerca di occupazione e gli adulti rimasti senza impiego. Da sottolineare inoltre che tra i poveri di cui parla la Caritas non ci sono solo i disoccupati, ma anche i cosiddetti working poor, di solito giovani sotto occupati e con stipendi da fame.
La crisi ha penalizzato soprattutto le nuove generazioni, sfavorendo l’accesso al lavoro e i percorsi di autonomia», spiega il demografo Alessandro Rosina, coordinatore del Rapporto Giovani dell’Istituto G. Toniolo. «A questo va aggiunta una caratteristica storica italiana per cui la spesa sociale è concentrata in pensioni e salute pubblica, e molto meno in azioni che favorirebbero i giovani: housing, politiche attive e politiche familiari». «Ti impoverisci nel non fare un progetto di vita, ma ti impoverisci anche provandoci», dice Rosina.
«Servirebbe una politica lungimirante. Una politica che guarda al consenso non fa che guardare alle generazioni più vecchie. Una politica che vuole far crescere il Paese invece guarda ai giovani. Dobbiamo scegliere solo come distribuire le nostre risorse. Se in politiche passive, per i più anziani. O politiche attive, destinate ai più giovani. È tutta qui la differenza. Altrimenti i giovani continueranno a impoverirsi e a fuggire oltre confine, mentre l’Italia diventerà sempre più vecchia e malandata».

La differenza tra chi investe sul futuro o sul passato è tutta qui: scegliere se investire nell’istruzione universitaria (l’Italia è l’ultima in Europa per numero di laureati) o nelle pensioni (l’Italia è prima per la spesa pensionistica rispetto al Pil). E noi abbiamo messo la croce sull’opzione numero due
Non basteranno certo a dare benzina ai giovani italiani né il bonus di 500 euro per i 18enni da spendere in cultura, né il programma Garanzia giovani, che poi è un programma europeo. E finora è servito soprattutto a rinfoltire la platea degli stagisti non pagati.
Il risultato è che da noi oltre un terzo dei giovani non studia e non lavora (i famosi Neet). E questo numero è aumentato tra il 2005 e 2015 di oltre il 10%, più di tutti gli altri Paesi Ocse. Se negli altri Paesi i giovani senza lavoro sono tornati a studiare, da noi non l’hanno fatto. Perché l’80% degli studenti iscritti negli atenei italiani non ha un aiuto finanziario per le tasse né una borsa di studio.

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