di Adriano Marinensi – Solo quando – in tutto il nostro Pianeta – verrà utilizzata soltanto plastica totalmente biodegradabile, avremo risolto il primo problema creato dall’abnorme divulgazione di questo prodotto, durante l’ultimo mezzo secolo. E sarà un progetto di scienza nuova da coniugare al prossimo futuro. Perché di problema un altro correlato ce n’è: il colossale inquinamento già esistente in natura e contro natura, conseguente alla diffusione delle plastiche tradizionali, che continuerà a pesare sulla qualità della vita delle prossime generazioni.
Oggi, in questo settore, che appare vincolante, i destini dell’umanità sono nella mano destra della ricerca scientifica che indica la soluzione nella plastica compatibile con l’ambiente e della mano sinistra se sarà capace di ridurre l’impatto pesante già in atto. Sono arrivato a questa sintetica conclusione leggendo la recente intervista ad una scienziata – Nathalie Gontard – rilasciata al collega Gabriele Santoro. Ormai abbiamo preso piena coscienza che si tratta di una delle principali sfide aventi per obiettivo la difesa e la rigenerazione dell’ambiente (e talvolta addirittura del paesaggio) , oltre alla tutela della salute negli ambienti di vita.
Uno di questi tipi di dissesto ambientale è stato generato dall’uso indiscriminato della plastica e dal grande affare che il suo settore industriale ha ampiamente lucrato. Plastica e detersivi, il paradiso per i magnati della finanza e l’inferno per la civiltà rispettosa del diritto dell’uomo alla salute. Plastica e detersivi che, per l’insulto alla natura, rimangono gli imputati meritevoli dell’ergastolo.
Partendo da una serie di dati – sostiene la Gontard – “in una settimana ingeriamo l’equivalente di una carta di credito bancario”. Di plastica, si capisce. Aggiunge: “Ha segnato il progresso, ma l’utilizzo irragionevole e gli eccessi nella produzione a basso costo, hanno creato danni non ancora misurabili”. Ecco, appunto, l’invasione sul mercato, per esempio degli incarti ed ancor più degli imballaggi, può essere considerato una pesante manomissione, che ora impone anche una drastica riduzione dei consumi. Il riciclo è utile, non sufficiente: ciò che salviamo si trasforma in un altro oggetto. Sempre di plastica.
Per quanto riguarda le micro particelle che finiscono nei nostri polmoni, Gontard ha fatto l’esempio degli pneumatici e degli effetti del loro gigantesco consumo. “Contengono – ha spiegato – oltre il 50% di caucciù avente la particolarità d’essere persistente. Il pneumatico si disgrega sulla strada in particelle arricchite di metalli pesanti e queste minuscole spugne di plastica sporche impregnano l’atmosfera”. Si tratta di una delle componenti, ma non la sola con effetti negativi.
Ho scritto altre volte degli “accumuli di materie plastiche nei mari”: hanno addirittura formato delle isole artificiali, quasi impossibile da bonificare. Il sale, il sole e le onde trasformano molta parte in pulviscolo, ingerito dalla fauna ittica e spesso quindi presente sulle nostre tavole imbandite. Chi studia questi aspetti ci dice che – ogni 4 stagioni – sono 8 i milioni di tonnellate di rifiuti plastici finiti in mare. Di essi, il 30% rimane in superficie e il rimanente 70% si deposita nei fondali. Se pensiamo a tutto quanto è affondato durante l’ultima guerra mondiale in navi, aerei, esplosivi, armi e via elencando appresso, e ci aggiungiamo il resto, si può ben dire che il mare sia diventato una pattumiera maleodorante.
Ancora Gondard, nell’intervista di Santoro, sostiene che “nessun recesso dei nostri oceani è risparmiato”. Persino i crostacei della Fossa delle Marianne, “hanno le interiora contaminate da micro particelle di plastiche”. Si tratta di una informazione drammatica che riguarda esseri viventi nel buco marino più profondo della terra, evidentemente raggiunto anch’esso dal fenomeno pernicioso dell’inquinamento. Correlato direttamente ad un dato sconvolgente: dal dopoguerra ad oggi, nel mondo sono state prodotti e distribuiti in giro, mediamente ogni anno, 368 milioni di tonnellate di plastica. Chi ha il buon costume di ripulire i litorali, ci informa che l’84% dei rifiuti trovati sulle spiagge è di plastica. Per la natura, una violenza barbarica.
Quindi – ammesso e non concesso che della plastica non si possa più fare a meno – la sostituzione di quella comune con l’altra ecocompatibile è diventato un impegno prioritario, da mettere integrare con il calo della produzione, all’uso dello stretto necessario, alla bonifica del territorio per quanto sarà possibile. Occorrerà inoltre andare oltre la raccolta differenziata in una logica di economia circolare, ormai diventata strada maestra.
Ed eccola una gagliarda buona nuova riferibile al tema in trattazione (si chiama Direttiva U. E. SUP – Single Usa Plastic – n.2019/904): stabilisce che dal 3 luglio scorso, è al bando la plastica monouso. Il divieto di commercializzazione riguarda, in primis, i piatti di plastica, le posate, le cannucce per le bevande, i bastoncini cotonati, i contenitori per alimenti al polistirolo. Stante la varietà infinita dei prodotti di plastica, potrebbe sembrare un palliativo, però un buon passo avanti lo è. Vuol dire che, d’ora in poi, dopo le feste all’aperto, le grigliate nei boschi, i compleanni compulsivi non vedremo più in giro le perniciose plastiche bianche alla rinfusa. Non le troveremo più sugli scaffali. Merita molta attenzione la clausola fino ad esaurimento scorte dei prodotti già acquistati che rappresenta l’alibi dietro al quale spesso restano nascosti, per tempi talvolta inusitati, mercanti clandestini.
E’ destinato a mutare l’aspetto di certi spettacolari reparti dei supermercati, insieme ai nostri costumi ancorati al credo fasullo del consumismo, mascherato da progresso, che, alla stregua di un moderno Achille, molti lutti ha addotti, non solo agli Achei, ma al mondo. Ormai sono tramontati i tempi degli slogan pubblicitari: Signora badi ben che sia fatto di Moplen. E di molti altri che hanno magnificato le doti eccelse delle plastiche d’ogni tipo, d’ogni uso, d’ogni forma, d’ogni colore. Alimentando l’illusione che i laboratori della chimica fossero in grado sfornare innovazioni inesauribili. E la “pandemia” conseguente ha combinato il disastro ecologico.