La multinazionale Nestlé, detentrice del marchio Perugina, si è messa in tasca 2,8 miliardi di dollari (circa 2,3 miliardi di euro al cambio attuale).
Glieli ha dati la Ferrero in cambio degli snack prodotti in America.
Tra le attività cedute dalla multinazionale svizzera a Ferrero ci sono i marchi “iconici” del cioccolato Butterfinger, BabyRuth, 100Grand, Raisinets e Wonka, ma anche le caramelle weeTarts, LaffyTaffy e Nerds. Inoltre l’accordo prevede per Ferrero il diritto esclusivo sul marchio Crunch negli Stati Uniti nel comparto del confectionery.
A Ferrero andranno gli stabilimenti produttivi statunitensi di Nestlé a Bloomington, Franklin Park e Itasca, in Illinois, con i dipendenti collegati alla divisione confectionery, continuando ad operare attraverso gli uffici di Glendale, in California, e le altre sedi proprie in Illinois e in New Jersey.
Per Nestlé si tratta della prima uscita da uno dei settori, quello dolciario, che ha concorso al suo successo.
La multinazionale svizzera ha comunque confermato che rimarrà nel business del cioccolato nel resto del mondo. Almeno per ora. Mark Schnieder, numero uno del gruppo di Vevey, ha infatti virato su prodotti più salutari, oltre che su caffè e alimenti per animali. Il prezzo riconosciuto da Ferrero per i venti brand di dolci della multinazionale svizzera (tutti eccetto KitKat su cui Hershey detiene i diritti del mercato Usa) che generano un giro d’affari di 900 milioni, è tutt’altro che a sconto: fino a pochi giorni fa si parlava di un’operazione da 2 miliardi, massimo 2,5.
Per Nestlé è il primo grande disinvestimento del ceo Mark Schneider. La cessione a Ferrero del business dolciario Usa riguarda “esclusivamente i brand del settore dolciario presenti negli Stati Uniti e non include i prodotti da forno Nestlé a marchio Toll House, un brand strategico e in crescita, che l’azienda continuerà a sviluppare”. Lo sottolinea in una nota la stessa Nestlé. L’azienda ha annunciato che “resta anche pienamente impegnata nella crescita delle altre attività internazionali di punta legate al cioccolato in tutto il mondo, in modo particolare il marchio globale KitKat”.
Ma se in Svizzera esultano, a Perugia non c’è di che stare allegri. Per la Perugina si parla ancora e solo di part-time, di ricollocazioni e uscite volontarie. La casa madre riguardo lo stabilimento di San Sisto non si muove dal piano dei 364 esuberi. Dopo l’incontro in Confindustria – in attesa del vertice al Ministero dello Sviluppo Economico – saltano sul tavolo delle trattative i part-time (circa 200, tra “normali” e stagionali), le ricollocazioni “incentivate” in altre aziende del territorio di Perugia (circa 80) con pari mansioni e stipendio e una sessantina di uscite volontarie dallo stabilimento del cioccolato.
Il che porta a 70 (circa) il numero degli esuberi. E avoglia che Gianluigi Toia, direttore delle relazioni industriali, stia lì a ripetere «c’è l’impegno a investire su Perugia per il rilancio della Perugina partendo dalla ristrutturazione della produzione. Illustreremo che siamo entrati in una fase concreta della ricollocazione professionale». “Confidiamo di offrire a tutti – ha aggiunto – delle situazioni occupazionali alternative, ma che abbiano lo stesso livello di quelle attuali”. E ancora: “Per quanto riguarda la cassa integrazione – ha spiegato ancora Toia -, studieremo i contenuti della norma e le circolari applicative ma non escludiamo possa essere una opportunità da valutare”.