di AMAR – Non è stato pessimismo il mio ad affievolire la speranza di poter vivere a lungo per andare in superstrada da Terni a Rieti e ritorno. Piuttosto, l’iter interminabile dell’opera andata avanti e indietro, dagli anni ’60 del ‘900 ai ’20 del 2000. Ora però, la “tratta umbro – sabina” ha visto la conclusione e quindi, essendo in clima natalizio, Alleluia, alleluia. La scena è vuota, la commedia è finita. Allora, mi sono detto: prima di consegnare lo “sceneggiato” alla videoteca, sarà il caso ch’io faccia – a futura memoria – un riassuntino delle puntate precedenti. Poscia, non ne parliamo più.
Partimmo da Viterbo con un sontuoso Convegno alla presenza dei rappresentanti autorevoli di tre regioni: Umbria, Lazio e Abruzzo. A sentire le voci di dentro, parve che inizio e fine dell’opera fossero a contatto di gomito. Invece, no. Venne battezzata, con un po’ di enfasi, la Superstrada dei due Mari, perché, passando per l’Italia centrale, doveva collegare il Tirreno all’Adriatico e fare da volano di sviluppo per i territori attraversati. Dunque, Civitavecchia, Viterbo, Orte, Terni, Rieti sino alle località rivierasche ad est dell’Appennino. Per la tratta Terni – Rieti, si contesero la progettazione esecutiva due proposte: Aguzzi che prevedeva, grosso modo, la salita da Terni verso Stroncone e Corsini-Santucci (successivamente diventato “progetto ANAS”) da S. Carlo verso la zona attorno a Piediluco.
Il primo stralcio fu costruito nella piana ternana, in attuazione dell’ Aguzzi, salvo cambiare cavallo e galoppare da S. Carlo in su, iniziando ai piedi della Somma. C’era in mezzo il patrimonio ambientale della Valnerina e, in Valnerina, la Cascata delle Marmore. Occorreva scavalcarla con un ponte. A monte oppure a valle del salto d’acqua? Il confronto delle idee fu lungo ed acceso. Alla fine, si chiuse la diatriba con la struttura moderna e in acciaio posta nei pressi di Papigno.
Bucare la montagna non è stato facile. Più semplice realizzare il tratto lungo la piana reatina completato celermente, seppure con criteri tecnici un po’ datati, con tratti ad una sola carreggiata e senza spartitraffico. Una superstrada per modo di dire. Le gallerie dettero filo da torcere, anche per l’acqua avvelenata che si mise a sgorgare e le frequenti interruzioni, causa lavori suppletivi di aggiustamento. Addirittura, l’ “incartamento” della Terni – Rieti era andato a finire in uno dei quei profondi cassetti della burocrazia ministeriale. Parve la sua tomba. Enrico Micheli, entrato nel Governo italiano, lo fece riesumare e trovò pure i necessari finanziamenti per riprendere il percorso. Da attento conoscitore dei problemi locali, Micheli ritenne che l’infrastruttura viaria, malgrado le tante generazioni trascorse, potesse giocare ancora da protagonista. Quanto meno, nel settore turistico per la presenza, a Terni, del complesso Lago – Cascata e, a Rieti, della Valle Santa e il Terminillo.
Di nuovo, cammina, cammina. Però, come nelle favole, “c’era una volta” un inciampo di qua, un’altro di là: la ditta appaltatrice pro tempore che fallisce, ne subentra un’altra che va per stracci anche quella. Insomma, arrivati all’ultimo pezzetto, è stato un calvario doloroso. Per di più, il progetto prevedeva il sorpasso del Velino in galleria. Meglio in rilevato – si disse – con un ponte. Per “disegnare” varianti in corso d’opera, non è facile, né temporalmente brevilineo. Infatti.
Comunque, seppure in maniera tribolata e usando la santa pazienza, tutti gli ostacoli sono stati rimossi e il taglio dell’ultimo nastro effettuato con la sottolineatura possibile. E meritevole, per la strada più corta (in chilometraggio) e più lunga (per tempo di costruzione) esistente in Italia, dall’era dei romani antichi. Tra me e me, ho concluso: Finalmente potrò smettere di scrivere sull’argomento. Ne ho accumulate di riflessioni, da quando sostenni (il verbo va coniugato al remoto) la “complementarietà economico – produttiva dei comprensori ternano e reatino” da consolidare con l’avvento del nuovo collegamento veloce.
Quindi la riflessione del mai dire mai. Perché qualcosa resta ancora da fare: Gli svincoli per Piediluco e Colli sul Velino. Di pari, se non maggiore importanza, l’accesso all’Aurelia, indispensabile a portare il traffico pesante nel porto di Civitavecchia, imbarco strategico per l’industria locale. Il “trattino” è inserito nel piano nazionale degli interventi considerati primari e urgenti. Se però, i ritmi decisionali e di lavoro saranno quelli del passato, campa cavallo; farà in tempo a campare e pure a morire. Assessore Melasecche, pensaci tu!