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You are at:Home » Io migrante di ieri, mia figlia migrante di oggi
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Io migrante di ieri, mia figlia migrante di oggi

RedazioneBy RedazioneOttobre 21, 2016Nessun commento5 Mins Read
 

di Vincenzo Donvito * – I dati diffusi oggi sull'emigrazione italiana all'estero sono sintomatici. Anche perché non si sta più parlando di quelle migrazioni che dopo la metà del secolo scorso videro molti italiani, magari con la valigia tenuta insieme da una corda, andare a cercare fortuna dal sud Italia al nord della stessa o nel nord del mondo: Belgio, Svizzera, Francia, Gran Bretagna e – i più  temerari – Usa, Australia, Canada.

No, stiamo parlando dei migranti di uno dei Paesi che fa parte dei G7, uno dei Paesi fondatori e grandi animatori dell'Unione Europea, uno dei Paesi che è meta di molti fuggiaschi del mondo per fame e per guerra (pur se per tanti siamo solo un transito).
Io sono stato un migrante e la mia testa non è affatto cambiata, e non mi sono fermato. Anzi. Cominciai a girare il mondo da solo, dal paesello della provincia levantina dove abitavo e studiavo, da solo e avevo 14 anni (grazie genitori, anche perché  la mamma era di Cagliari e fin da piccolo ogni estate passavo mesi dai nonni). Finito il liceo provai il grande salto, andare a fare l'Università a Boston (mio padre mi guardò come un marziano), mi accontentai di Firenze, dove già  era andato mio fratello maggiore che si era appena laureato. Stiamo parlando del secolo scorso (1972), e nel mio peregrinare tra autostop e altro per l'Europa, avevo già toccato con mano gli emigrati italiani, quelli più poveri della mia famiglia, che vivevano talvolta in baracche dove mi ero fatto anche ospitare per conoscere meglio. Cosa mi mancava? L'aria, la speranza, il desiderio, la curiosità di arrivare in cima a quelle che sembravano montagne irraggiungibili: per capire, assimilare, accumulare, elaborare e trasferire le mie speculazioni a vantaggio di chi non aveva avuto tanta temerarietà e opportunità: la felicità e il benessere dell'altro come condivisione e speranza.
E fu proprio quest'ultima che mi portò all'impegno civico da subito (dal mitico '68 in poi e tutt'ora). A 14 anni mi comprai una grammatica e qualche libro di esperanto e cominciai a studiarlo, ma non mi bastava per comunicare, nonostante il sogno di quella lingua. E il liceo prima, l'universita' dopo, erano stretti, troppo stretti, soprattutto l'ateneo fiorentino intriso di baronie, ideologie dominanti (pur se contro la corrente dominante in quel momento nello Stivale). E poi ho continuato a vagare con la mente, col corpo e con lo studio e la vita -con base a Firenze- tra Comunita' Europea (essenzialmente Bruxelles e Strasburgo) e Usa (Florida e California), prestando il mio “servizio civico” in ogni posto dell'Europa e non solo dove sentissi che potevo dare qualcosa (Istanbul, Mosca, Praga, Belgrado, Ginevra, Tel Aviv, Budapest, Madrid, Lubiana), e mandai gente in giro per il mondo, ovunque, perche' cercasse altrettanto e me lo raccontasse a partire dall'effetto della sua pelle, dalla Terra del Fuoco ai campesinos boliviani e ai bassifondi di Calcutta, dalle isole del Pacifico ai campi nomadi dei deserti del Sahel, dalle tribu' amazzoniche a quelle della Tanzania e del Borneo.
No, non è un'agenzia viaggi come un business, ma la ricerca del meglio dopo aver visto, sentito e toccato: opportunità da cogliere pensando al nostro piccolo Pianeta e al nostro modello di societa' economica, politica e sociale che lo sta consumando irreversibilmente.
Ora, a parte l'autobiografia di questo irriverente ormai oltre la sessantina (eh, sì, mi sono fatto prendere un po' la mano…), tornando a tutte le testimonianze che si leggono oggi dei giovani che sono andati via e continuano ad andare via da questo Paese… attenuata una caratteristica tipica della mia epoca (la difficoltà di comunicazione), cosa c'è che non andava quando io non ero sessantenne e che continua a non andare oggi?
Oltre il trasporto, l'angoscia e il desiderio individuale? E poi, nell'era della comunicazione a 360 gradi?
Credo che sia la mancanza di opportunità, legata alla burocrazia asfissiante, al nepotismo, al doversi fare furbi per sopravvivere negando spesso quegli stessi principi che fanno finta di insegnarci a scuola. E per questo che continuo ad essere errante e dedito all'informazione e all'aiuto verso le vittime di questo sistema. Sperando che questa mia dedizione possa contribuire al cambiamento ma, siccome di vita ne abbiamo una sola, sto cercando di salvare mia figlia (frequenta una scuola non-italiana di Firenze) quantomeno offrendole quest'opportunità per la quale io ho vagato e continuo a vagare nel Pianeta.
Sconfitto? Pronto a sputare sull'Italia? No. Solo – preso atto di un modo diverso rispetto a quando io avevo l'età di mia figlia – metto in atto una riduzione del danno, per la mia irriverenza e per il futuro di una ragazza che sarà più libera di scegliere. E questo per me si chiama amore anche per il proprio Paese, come il Candido di Voltaire.

 

* Presidente Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori)

cervelli all'estero migrazione opportunità
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