(A.L.) Gianpiero Bocci potrebbe essere venuto a conoscenza della presenza di cimici negli uffici di Emilio Duca e Maurizio Valorosi in occasione dell’intervento per il rischio antrace del 2017 come sembra emergere dalle dichiarazioni circospette degli interessati.
Lo stesso direttore generale racconta, non sapendo che un virus torjan era inserito nel suo cellulare, di aver paura di essere spiato (“mentre tu stai a parlà con me – affermava – mi stanno ascoltando e registrando… perché io non voglio andà in galera pe ste persone” e cercava conferme dalla polizia giudiziaria attraverso svariati canali: dal professor Potito D’Errico, al generale in congedo Pasquale Coreno (già all’allora Sismi), al luogotenente del Nas Domenico Oristanio.
Così ha inguaiato un sacco di gente, compreso Bocci, indagati per favoreggiamento e rivelazione di segreti d’ufficio.
La difesa dell’ex sottosegretario all’Interno, ed ex segretario del Pd davanti ai giudici del tribunale del Riesame, hanno ribadito la richiesta di revoca dell’ordinanza per mancanza delle esigenze cautelari perché “ l’inquinamento probatorio non sussiste perché non c’è alcuna prova della condotta di favoreggiamento visto che la procura non ha individuato la presunta scia della rivelazione sulle microspie e poi, l’eventuale contributo dell’allora onorevole rispetto all’attività di ricerca di informazioni era marginale”.
“Pensiamo – afferma l’avvocato Brunelli – di aver dimostrato che non esiste alcun pericolo concreto e attuale di inquinamento probatorio nei confronti di Bocci e Valorosi e per Valorosi nemmeno il benchè minimo pericolo di reiterazione del reato”.
Ma bisognerebbe sapere cosa è emerso nei tanti interrogatori nel frattempo acquisiti dagli inquirenti e se qualche ‘gola profonda’ abbia tirato in ballo il noto politico della Valnerina, dalle solide relazioni e le prossime ore forniranno risposte al quesito.