Di Adriano Marinensi –
In un recente articolo – riferito al futuro assetto dell’Unione Europea ed al voto del maggio prossimo – Romano Prodi ha formulato questo pronostico: Le elezioni riprodurranno, con ogni probabilità, una alleanza di governo tra Popolari e Socialisti, a guida popolare”. L’autorevole parere (Prodi è stato Presidente della Commissione U.E dal 1999 al 2004) è scaturito da una analisi attenta della situazione maturata in alcuni Paesi membri e soprattutto in Italia. Se sarà stato un buon profeta, il cammino verso una Europa forte, autorevole, rinnovata nelle finalità e nei metodi di gestione, sarà possibile e utile. Altrimenti il rischio dei rigurgiti nazionalisti troverà spazi deleteri.
In Italia, la disputa (non il confronto) è destinata a riproporre le asprezze del voto di giugno 2018, con i contorni di una rivincita tra le due forze di governo, che prescinde dai confini e dai valori di una moderna Europa Unita. Cioè di un soggetto sovranazionale che sia protagonista e sappia porre, tra i primi posti del suo operare, la promozione della pacifica convivenza, l’integrazione dei popoli che la compongono, lo sviluppo sostenibile, la difesa dell’ambiente, la solidarietà umana e sociale, il mutuo soccorso agli svantaggiati, la equa distribuzione delle risorse. Insomma, un progetto di unità in grado di ricevere il consenso popolare, oltre all’adesione dei singoli Stati.
Le Istituzioni democratiche vivono anche per l’ “amore della gente”. L’esatto contrario del discredito disseminato, nel recente periodo, irresponsabilmente in Italia, nei confronti di quelle europee. Alcune forze politiche hanno fatto a gara nell’indicare l’Unione Europea come il nemico da combattere. Probabilmente per nascondere la povertà delle proprie proposte e l’incapacità di interpretare e risolvere i veri problemi degli italiani. Con l’aggiunta di qualche additivo di presuntuosa arroganza. Sono così riemerse e diffuse le simpatie per gli sciovinismi di stampo sovranista. Di conseguenza gli euroscettici sono diventati antieuropeisti, tradendo una storia che, con l’affermarsi del globalismo politico – economico, ha quasi cancellato il ruolo delle autarchie, non più in grado di competere da sole nell’agone dello sviluppo. Inoltre, se l’autorevole Economist, nel “Democracy index”, ci ha fatto scendere dal 21° al 33° posto, vuol dire che, in Italia, abbiamo un altro problema: la quasi democrazia.
Il nazional – populismo dell’attuale Governo di tipo neorealista (con gli “attori” presi dalla strada) ha provocato già abbastanza danni all’immagine del Paese ed ai bilanci dei cittadini, sotto forma di svalutazione dei risparmi e dei capitali d’impresa. Imponendo altresì, un modello sociale fondato sulla negazione di alcuni principi sanciti nella Costituzione: il diritto di avere diritto, secondo il pensiero di Prodi. Gli egoismi settoriali e razzisti fanno da esempio e si materializzano nei porti chiusi ad ogni e qualsiasi domanda d’asilo per chi fugge dalla violenza e dalla fame.
Certo, pretendere una diversa attenzione verso i disagi del Terzo mondo, da parte dell’U.E., rappresenta il minimo della richiesta; però essa va inserita in un disegno di rafforzamento istituzionale e programmatico, non in un piano strategico di dissoluzione. Tornare indietro dai traguardi raggiunti equivarrebbe ad una inefficiente ritirata, se non ad una disfatta. Va anche interrotta la deriva verso destra della quale è preda il panorama politico europeo. Deriva che tante offese alla libertà ha provocato nella prima metà del secolo scorso. E’ un monito che interessa gli stessi “simpatizzanti” della variegata destra italiana, i quali, proseguendo lungo l’attuale tragitto, tra breve, potrebbero ritrovarsi, su posizioni estremiste, con un solo “conducator” al comando. A meno che il paradossale compromesso che ha dato vita all’Esecutivo contrattuale non inciampi nelle sue tante palesi contraddizioni, in conseguenza della rincorsa alla supremazia elettorale, all’insegna del costi quel che costi. Pur se il costo alla fine andrà tutto a carico dei cittadini. Quei cittadini ai quali, nel maggio prossimo, sarà offerta l’occasione delle urne per riportare il Paese sulla retta via. Che è poi quella destinata a sfociare in Europa.
Forse un modesto contributo a rendere proficua tale occasione può venire dalla conoscenza, seppure sintetica, dei principali Organi dell’Unione Europea. Potrebbe addirittura stimolare la presenza elettorale e frenare l’alea di una vistosa astensione antidemocratica. Dal 1979, il Parlamento europeo viene eletto a suffragio universale. E’ l’Organo legislativo, composto di 751 Deputati, rappresentanti dei 28 Stati dell’Unione e 500 milioni di persone (la G.B. ne fa ancora parte). Attualmente è presieduto dall’ italiano Antonio Tajani. Sono invece 19 gli Stati che hanno adottato l’Euro. Insieme al Consiglio, il Parlamento detiene il potere legislativo. Del Consiglio europeo fanno parte i Capi di Stato e di Governo: è responsabile anche per la politica estera, la sicurezza e la difesa. La Commissione europea propone le leggi e adotta le direttive del Parlamento. Gestisce le politiche economiche, assegna i finanziamenti e assicura il rispetto dei provvedimenti. Abbastanza noto è l’attuale Presidente Jean Claude Juncker.
La Banca Centrale Europea (BCE) vigila la moneta unica, guida la politica economica e monetaria. E’ formata dai Governatori delle Banche centrali dei Paesi membri. E’ presieduta dall’altro autorevole italiano Mario Draghi. Ha sede a Francoforte, in Germania. La Banca Europea per gli Investimenti (BEI) finanzia i progetti che realizzano gli obiettivi comunitari. Un Giudice per ogni Stato più 11 Avvocati generali compongono la Corte Europea di Giustizia che garantisce il rispetto dei diritti. Infine, la Corte dei Conti Europea è titolare della funzione di controllo sul corretto utilizzo delle risorse finanziarie. Sono questi i principali strumenti operativi della U.E. Hanno sedi a Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo.
Il quadro istituzionale, l’assetto operativo, i poteri sovranazionali hanno bisogno di una riflessione che faccia meglio funzionare l’intero processo unitario, in una prospettiva di maggiore integrazione. Seppure portatori di differenti storie e culture, dovremmo sentirci un po’ più cittadini europei. Il futuro non può che essere gli Stati Uniti d’Europa. Un presidio mondiale di nuova civiltà, di moderna democrazia, di efficiente equilibrio amministrativo. Nella ricerca di una coesa identità umana, sociale, economica. Ogni conservatorismo rimosso.