Che la crosta terrestre in Italia si muova continuamente sotto l’azione delle placche continentali africana ed euroasiatica, causando terremoti anche disastrosi, non è cosa nuova. Ma riuscire a individuare la posizione e l’entità dei movimenti legati ad una singola faglia lunga pochi chilometri che si rompe durante un terremoto, è un risultato di particolare significato per migliorare le conoscenze sulla pericolosità sismica di una regione.
E’ quanto hanno fatto (e continuano a fare) gli scienziati dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che su bloogingvterremoti hanno pubblicato un ampio e approfondito studio, realizzato dopo il terremoto del 24 Agosto che ha colpito le regioni Marche, Lazio, Abruzzo e Umbria) sul “movimento della faglia che ha causato un’estensione dell’Appennino tra il Tirreno e l’Adriatico di circa 3-4 centimetri». Dopo l’abbassamento di 18 centimetri della Piana di Castelluccio di Norcia misurata coi satelliti radar, i tecnici dell’Ingv hanno reso noti anche gli esiti delle rilevazioni delle stazioni gps collocate a terra in un’ampia zona dell’Italia centrale, spiega una nota dell’Ingv che si è avvalsa di rilevatori di proprietà dell’Ispra e dellla Prociv – sono stati calcolati come differenza tra le posizioni giornaliere delle stazioni nei giorni precedenti e successivi al terremoto. In questo modo sono stati ottenuti gli spostamenti massimi registrati nelle singole stazioni,compresa quella posta ad Amatrice che è la più vicina all’epicentro della scossa del 24 agosto, con un errore massimo di pochi millimetri». L’esito è sorprendente: «Le analisi preliminari basate sulle sole stazioni gps attive al momento del terremoto mostrano che questo è stato generato da una faglia lunga oltre 18 Km inclinata di circa 50 gradi, che corre con direzione nord-nordovest e sud-sudest e si immerge verso ovest al di sotto dell’Appennino. Il movimento di questa faglia ha causato un’estensione della catena appenninica di circa 3-4 cm tra il Tirreno e l’Adriatico». Ma altre deformazioni permanenti della crosta terrestre potrebbero essere rese note nei prossimi giorni: «L’analisi congiunta dei dati gps con dati spaziali Insar permetterà – ci avvertono i tecnici INGV – di fornire un quadro originale e dettagliato delle deformazioni del suolo e delle caratteristiche della faglia, contribuendo a disegnare con sempre maggiore dettaglio il livello di pericolosità sismica dell’Appennino».
Lo studio cui abbiamo fatto riferimento in questo articolo è stato realizzato a cura del Gruppo di Lavoro INGV-CNT Centro Analisi Dati GPS: Marco Anzidei, Antonio Avallone, Adriano Cavaliere, Giampaolo Cecere, Daniele Cheloni, Nicola D’Agostino, Ciriaco D’Ambrosio, Roberto Devoti, Alessandra Esposito, Luigi Falco, Alessandro Galvani, Grazia Pietrantonio, Federica Riguzzi, Giulio Selvaggi, Vincenzo Sepe, Enrico Serpelloni.