Di Adriano Marinensi – Mi sono detto: Chissà quanti sono i lettori (in verità, i miei saranno una dozzina in tutto) che non conoscono la storia dell’aereo caduto, più di 60 anni fa, sul Terminillo, a due passi dall’Umbria. Sicuramente tanti. Eppure, la tragedia ebbe un’eco internazionale, commosse l’opinione pubblica e tenne, per diversi giorni, le prime pagine degli organi di informazione. Ed allora, per gli interessati, ecco il sintetico racconto. Un aeroplano che vola sopra l’Italia di mezzo e d’improvviso scompare, senza lasciare traccia, provoca una carica emotiva particolare. Anche perché otto giorni durarono le ricerche con la partecipazione di ingenti forze militari e civili.
Ambientare il luogo del disastro è indispensabile. Siamo in Sabina e le montagne che “ospitarono” l’evento sono quelle che sovrastano il centro abitato di Pian de’ Valli: il Terminilluccio a quota 1.864, il Terminilletto a 2.108, il Terminillo a 2.216. Nella buona stagione, si può agevolmente salire in macchina da Rieti, valicare Sella di Leonessa (1.900 m.) e ridiscendere lungo la splendida Vallonina per godere un percorso di alta magnificenza, tra balze e boschi, ombre, paesaggi e silenzi. Durante il “ventennio”, quando gli anni si scrivevano con i numeri romani, lassù bazzicava, d’inverno, il “condottiero”. La dimora dov’era ospite la chiamavano “Villa Mussolini”, ma proprietaria era la famiglia Chigi: per costruirla – quando gli italiani cantavano “se potessi avere 1000 lire al mese” – i Principi ci avevano investito quasi un milione.
Ora arriviamo alla sera tra il 12 e il 13 febbraio 1955. C’è un aereo, sopra l’Italia, un quadrimotore DC 6 della compagnia di navigazione belga Sabena, partito nel primo pomeriggio da Bruxelles e diretto a Leopoldlville, con scalo intermedio a Ciampino. Avverte la Torre di controllo che ha difficoltà di collegamento con l’aeroporto di Viterbo. Crede di sorvolare Viterbo, ma le forti correnti in quota hanno deviato la direzione. Sono quasi le 20 e la comunicazione radio si interrompe. Il velivolo scompare dai radar e quando ciò accade, per i tecnici vuol dire che l’aereo non è più in cielo. Scatta quindi l’allarme e vengono mobilitati i centri di ricerca. La zona è vasta e il luogo della caduta sconosciuto. Lo cominciano a cercare sull’Appennino, nel Tirreno non lontano e nei laghi laziali e abruzzesi. Non sta in nessuno di questi posti. Le prime pagine dei quotidiani si riempiono subito di grossi titoli. A bordo del DC 6 ci sono passeggeri di diverse nazionalità e alcuni bambini: in totale 22 più 7 membri di equipaggio. C’è pure un’ italiana. Si chiama Marcella Mariani, appena ventenne, attrice cara a Luchino Visconti, abbastanza nota al pubblico. Due anni prima l’hanno eletta Miss Italia. Da sola fa già notizia e l’effetto emotivo dell’incidente raddoppia.
Nei giorni successivi si intensificano le ricognizioni aeree e le osservazioni in mare. Si uniscono ai soccorritori, 12 piloti partiti da Bonn e 4 aerei USA di stanza a Napoli. Poi, iniziano le segnalazioni. Ci sono rottami dalle parti di Capranica: no, si tratta di un caccia inglese abbattuto durante la guerra. Dei contadini, nella notte della scomparsa, hanno visto un incendio sopra un colle: no, si tratta di un covone di paglia andato a fuoco. Al largo di S. Severa, avvistano una chiazza nera: no, si tratta di un grosso accumulo di alghe. Nel lago di Bolsena, un pescatore segnala dell’olio in superficie: no, non è compatibile con il carburante d’aereo. Purtroppo i giorni passano e niente accade di nuovo. Ci sono ben sette ricognitori in volo e nessun avvistamento. Ora sembra che dei resti ci siano sul Monte Vettore, nei pressi di Castelluccio di Norcia. Una squadra di soccorso parte pure da Spoleto, attraverso Forche Canepine. L’impresa è ardua e ancor più inutile. C’è un vecchio campione ciclista ternano che afferma: Passavo quella sera lungo la strada verso Leonessa e ad un certo punto ho udito il rumore cupo come fosse d’aereo che, di colpo, è cessato: no, nessun aereo è a terra da quelle parti.
Si arriva al 22 febbraio. Un pilota comunica: Il relitto del DC 6 si trova sulle pendici del Terminillo, nel versante ovest, a circa 1.600 metri, semisommerso dalla neve. E’ ben visibile, la sigla sulla coda. Ovviamente, intorno nessun segno di vita. Dunque, il dramma si è consumato lassù, contro un impervio costone roccioso, in mezzo alla bufera. E in mezzo alla bufera che, in quel febbraio, ancora continuava, era necessario recuperare subito i corpi. Vengono formate squadre specializzate nel soccorso alpino, coadiuvate da montanari del luogo ad indicare i percorsi meno impervi e salire – scrive un cronista – “per contendere alla neve ed al ghiaccio il tragico carico del quadrimotore”. Si mobilita anche la città di Rieti per ospitare nella Cattedrale le 29 bare e la commossa e partecipata cerimonia funebre.
Nel luogo della sciagura è stato eretto un monumento a futura memoria; a Pian de’ Valli, la ex scuola, oggi ospita la “Saletta dei ricordi”, intitolata a Marcella Mariani, dove sono conservate ed esposte le numerose testimonianze di cronaca quotidiana, le foto d’epoca e molti rottami dell’aereo recuperati successivamente. Una sorta di “sacrario” che qualcuno ha voluto chiamare la “Superga reatina”, accomunandola a quella esistente in Piemonte, in rimembranza della squadra di calcio del Torino, distrutta in un altro incidente aereo nell’impatto contro la collina di Superga, il 4 maggio 1949 (esattamente 70 anni fa).
Sopra una tomba, nel Camposanto di Terni, c’è la lapide in ricordo di una giovane ternana, hostess dell’Alitalia, soltanto cinque anni più di Marcella Mariani. Era in servizio sul DC 6 caduto il 5 maggio 1972, a Punta Raisi (chiacchierato aeroporto di Palermo, costruito nel 1960, in odore di mafia). L’aereo andò a sbattere, contro la Montagna Longa alle spalle dello scalo, tra Cinisi e Carini. Si disse, per un errore del pilota il quale, come il suo collega del Terminillo, credeva di volare ad una quota superiore. Altra ipotesi attribuì il disastro all’attentato messo in atto dalla solita mafia in combutta con esponenti dell’estrema destra. Morirono 115 persone. Peppino Impastato, giornalista ucciso dalle cosche palermitane, scrisse un severo J’accuse contro le inadeguatezze di Punta Raisi. Alle quali va imputata anche un’altra sciagura. Era l’antivigilia di Natale del 1978, a tarda sera, e ancora un DC 6 Roma – Palermo, sempre in fase di atterraggio, finì in mare dinnanzi a Punta Raisi. Forse il pilota scambiò le luci dello scalo riflesse sull’acqua per la pista, forse sbagliò i tempi di avvicinamento, fatto sta che l’aereo ebbe un impatto dirompente. Morti 108, superstiti 21. Soltanto due anni dopo, altro DC 6 protagonista della sciagura di Ustica, comune del territorio metropolitano di Palermo. Furono 81 i morti e tra loro 13 bambini. E’ rimasto uno dei grandi misteri italiani, di quelli che nascondono lati ambigui e oscuri.