Di Adriano Marinensi – Ancora un breve articolo per ricordare una straziante tragedia avvenuta, all’inizio di questo mese di 25 anni fa. Seguii, con molta attenzione ed interesse, la vicenda perché, a quel tempo, mia figlia abitava a Livorno e, nella città toscana, stava per nascere il mio primo nipote (classe 1991, appunto).
Tenterò di riassumere, un po’ sul filo della memoria, un po’ rileggendo la storia, i fatti di quel giorno (la più grande sciagura che abbia mai colpito la Marina mercantile italiana) e del tempo successivo.
Sono circa le 22 del 10 aprile 1991. Il Traghetto di linea Moby Prince è salpato dal porto di Livorno, diretto ad Olbia. Trasporta 141 persone tra passeggeri ed equipaggio. Si tratta di una traversata senza particolari problemi, come le tante altre precedenti. Invece, il dramma si consuma proprio a poca distanza dal molo di partenza: il traghetto entra in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, ancorata appena al largo. La prua della Moby Prince penetra in uno dei serbatoi dell’Abruzzo e una grossa quantità di petrolio – successivamente calcolata tra le 100 e le 300 tonnellate – inonda la parte prodiera e prende subito fuoco.
Poi si verificano una serie di circostanze avverse. Il marconista, che pare non fosse al suo posto, lancia l’SOS quasi mezz’ora dopo. I motori continuano a funzionare, allontanando l’imbarcazione dal punto di impatto. Resta acceso anche l’impianto di areazione che contribuisce a diffondere fumo e gas tossici. Soltanto un’ora dopo si riesce ad individuare la Moby Prince avvolta dalle fiamme. La trovano per primi due ormeggiatori livornesi che però non hanno mezzi antincendio. Possono soltanto trarre in salvo l’unico superstite, il giovane mozzo napoletano Alessio Bertrand. Arrivano finalmente i Vigili del Fuoco e inizia l’opera di spegnimento conclusa nella tarda nottata. Ormai, la tragedia per i 140 rimasti sul traghetto si è consumata. Anche dall’Agip Abruzzo è stata diffusa la richiesta di soccorso, dicendo che forse è una “bettolina” quella venuta loro addosso. E’ buio intorno e un banco di nebbia ostacola la visibilità. Due fattori che, si dirà, hanno concorso alla errata manovra della Moby Prince.
Iniziarono subito le indagini incentrate su due ipotesi di reato: omissione di soccorso e omicidio colposo plurimo. A sostegno della tesi accusatoria, soprattutto i tempi lunghi tra il momento del sinistro e l’inizio di spegnimento delle fiamme. Si giunse al processo di primo grado (Livorno – 1995) con 4 imputati a vario titolo. Tutti assolti per insussistenza dei fatti addebitati. Quindi, l’appello (Firenze – 1999), soltanto per emettere una sentenza che prese atto di “non doversi procedere perché i reati sono estinti per intervenuta prescrizione”.
Viene avanzata dai figli del Comandante della Moby Prince, una richiesta di nuove indagini, ma, nel maggio del 2010, la Procura di Livorno ne chiede l’archiviazione. Nel dispositivo si legge: “Occorre tornare al quesito di base e cioè come è possibile che personale di bordo, ritenuto preparato, possa aver così gravemente errato nella conduzione della nave (la Moby Prince, n.d.a.) e come sia possibile che una collisione con una petroliera alla fonda, avvenuta a poca distanza dal porto di Livorno, abbia potuto avere così tragiche conseguenze”. E già, come è stato possibile, Signori della Corte ?
E’ lo stesso interrogativo che continuano a porsi, ancora oggi, i familiari delle vittime, i quali, riuniti in due associazioni, hanno consegnato, nel 2014, all’allora Ministro della Giustizia, un “dossier” tecnico” per sconfessare le conclusioni (senza conclusione giuridica) della Procura di Livorno. Il documento ha avuto l’effetto di indurre il Senato ad istituire (luglio 2015) una Commissione parlamentare d’inchiesta con il compito di fare piena luce sulla dinamica della collisione, i presidi di sicurezza a bordo e le lunhaggini del soccorso in mare.
Chissà che, tra i due anni concessi alla Commissione per la conclusione dei lavori – quando saremo arrivati alla ventiseiesima commemorazione dell’accaduto – non si possano far riposare finalmente in pace quei 140 morti sul rogo. “Per una civile aspirazione – come ha detto giorni fa il Presidente Mattarella – ad una autentica rappresentazione dei fatti, capace di scrutare oltre la nebbia che contribuì alla tragedia”. Ed ha aggiunto: “La circostanza che il rogo assassino sia avvenuto non lontano dal porto e il soccorso sia riuscito nel salvataggio di una sola persona, costituisce una lacerazione ancora aperta”. Sin da quando venne avvicinata per prima la Agip Abruzzo, senza accorgersi subito del traghetto in fiamme ed alla deriva. Scrivono ancora oggi le cronache “il disastro della Moby Prince è uno dei tanti misteri italiani senza epilogo, sul quale la Magistratura non è riuscita a fare chiarezza”. In 25 anni, da quel lontano 10 aprile 1991. Giustizia vo’ cercando ch’è si’ cara …