di AMAR – Eccola una nota breve di storia sportiva per quanti, come me, amano il ciclismo. E’ lo sport tra i più tribolati, quello delle interminabili corse a tappe e sulle lunghe distanze, da affrontare di seguito, oggi, domani e domani l’altro ancora. Il ciclismo moderno che viaggia sopra biciclette tecnologiche, a velocità da motoscooter e l’altro antico, capace di imprese eroiche. Le imprese di Girardengo, di Binda e Guerra, di Belloni e Bottecchia. Tutto sudore e polvere, lungo strade sterrate e le gambe a spingere velocipedi ch’erano semplici “mezzi di locomozione”.
Nel ciclismo della seconda metà del secolo scorso, il record dell’ora – cioè la distanza percorsa in pista da un singolo atleta in 60 minuti – è stato un traguardo riservato ai grandi campioni. Le gare di velocità davano altrettanta fama, però il record dell’ora destava ammirazione e rispetto sportivo. In Italia, la velocità ha avuto diversi fuoriclasse: su tutti, Antonio Maspes, sette volte campione del mondo, nel periodo 1955 – 1968, l’uomo dai polpacci da cavallo e soprattutto dai nervi d’acciaio.
Ne fece bella mostra, in Svizzera, quando batté il francese Michel Rousseau dopo averlo tenuto fermo sulla bicicletta per 25 minuti, dinnanzi ad un pubblico allibito. Quando l’avversario non ne poté più di quel surplace infinito e scattò con rabbia, Maspes lo rincorse superandolo negli ultimi 200 metri alla velocità di 66,66 km orari. La pista lo rese ricco, il demone del gioco d’azzardo lo mandò all’inferno Si dice girasse con una lettera in tasca nella quale c’era scritto: “Cacciatemi fuori da ogni Casinò, Vi prego”. Era milanese autentico (classe 1932) ed a Milano è morto nell’ottobre del 2000.
Anche l’Umbria ha avuto nel remoto passato un velocista di notevole caratura: il ternano Renato Perona, medaglia d’oro nel tandem alle Olimpiadi di Londra del 1948, in coppia con Ferdinando Terruzzi: Perona il braccio e Terruzzi la mente, Perona il motore, Terruzzi al volante. Si vide dopo, la differenza perché Ferdinando mise a frutto la medaglia (lo chiamarono il “re della 6 giorni” per averne disputate 149 in ogni parte del mondo). Renato invece si perse per strada.
Tornando al record dell’ora, l’italiano meglio conosciuto fu Fausto Coppi. Nel 1942, c’era la guerra e lui era militare. Fors’anche per ritardare l’invio al fronte, il già vincitore (a sorpresa: aveva appena vent’anni) del Giro d’Italia 1940, volle tentare l’impresa, malgrado le difficoltà del momento. Non vi erano ancora biciclette di elevato profilo tecnico e neppure una assistenza adeguata (in molte foto d’epoca si vedono ciclisti con il tubolare a tracolla). Ma, Coppi era Coppi. Toccava detronizzare il francese Maurice Archambaud, superando 45 km e 840 metri. Il tentativo al Velodromo Vigorelli di Milano. I primi 70 giri non furono un granché. Poi, nei restanti 45, Coppi fece il miracolo: 45 e 871, cioè solo 31 metri in più del limite precedente. Comunque, un successo che però non gli valse l’esonero dal teatro di guerra. Il suo primato dell’ora resse sino al 1956, quando Jacques Anquetil lo portò a 46 e 159.
Nel 1984, c’era un muro da sfondare, quello del 50 km. Dodici anni prima, “Mister 525” (vittorie in carriera), cioè l’ineguagliabile Eddy Merckx lo aveva mancato di poco: 49 km e 531. Questa volta non bastava qualche decina di metri in più. Bisognava scavalcare il muro. C’erano a disposizione una preparazione quasi scientifica, una bicicletta di 7 chili e mezzo, un casco aerodinamico, le ruote lenticolari di nuova invenzione.
A gennaio 1984, nel velodromo di Città del Messico, sopra il sellino, un pedalatore di taglia eccelsa (a giugno dello stesso anno vincerà il Giro d’Italia): Francesco Moser. Percorse, al primo tentativo, 808 metri oltre il muro; nel secondo, 4 giorni dopo, Moser fece meglio di Moser: in un’ora, 51 km e 151 metri, spingendo un rapporto 57 x 15 che consentiva una pedalata di 8 metri e 18 centimetri. Le ruote lenticolari però furono considerate “un indebito vantaggio” e la misura raggiunta soltanto “la migliore prestazione umana sull’ora”. Negli anni successivi, in molti andarono al di là del muro. Anche Ercole Baldini. Il belga Victor Campenaerts, nel 2019, ha portato l’ultimo record dell’ora a 55 km e 089 metri, servendosi di un rapporto – mostre di 61 x 14.
Ho conosciuto Aldo, il fratello maggiore di Francesco Moser, negli anni ’50 del secolo scorso. Il Gruppo sportivo Campomicciolo, del quale ero segretario, organizzava il Gran Premio “Baratta Pasquino”, gara nazionale per dilettanti. Vi partecipavano i migliori rappresentanti della categoria che il famoso C. T. Giovanni Proietti portava a Terni per la preparazione ai mondiali su strada. Ad una edizione prese parte pure Aldo Moser e vinse, scalando in fuga, nei due versanti, il Passo della Somma. Divenne professionista nel 1954 e prese parte a 16 Giri d’Italia. Nell’ultimo anno di attività agonistica (1973), corse insieme a tre dei suoi fratelli: Enzo, Diego e Francesco. Ad Aldo – oggi di anni 86 – mi è gradito inviare sinceri Auguri.