di Adriano Marinensi – Al presentatore e fine dicitore (una volta, si diceva così) Fabio Fazio chiedo scusa, ma il “Richiatutto” dei primi anni ’70 del secolo passato, mi ha appassionato di più (per quel che può valere – detto in rima – il mio infimo parere). Certo, in mezzo al diluvio televisivo attuale, eccellere non è facile come allora e, ancor meno, coinvolgere emotivamente gli spettatori. Però – e chiedo venia ancora – pur a prescindere dal carisma del conduttore, si impose con la forza della originalità, malgrado fossimo ancora prigionieri del bianco e nero. La TV a colori, in Italia, arrivò il 1 febbraio 1977, al termine della lotta tra Secam e Pal.
C’era solo la RAI e solo a due marce: il Canale nazionale e il Secondo programma. Il “Rischiatutto” prima maniera andò in onda, per quasi tutte le puntate, sul Secondo programma, dal febbraio 1970 al maggio 1974. Al timone Mike Bongiorno con a fianco la storica valletta Sabrina Ciuffini. Tra i concorrenti che ebbero rinomanza, vanno ricordati, per far da esempio, Massimo Inardi (musica classica), recordman delle vincite con oltre 48 milioni, allora pagati in gettoni d’oro; e Giuliana Longari (musica leggera), amabilmente chiamata da Mike, per tutti, “la signora Longari”. Come sempre, i giochi di abilità a premi vivevano pure della simpatia suscitata dei partecipanti che li imponeva alla familiarità del pubblico. Fu così per quel “Rischiatutto”, rimasto al vertice degli ascolti per oltre 4 anni.
Il primogenito della grande famiglia dei telequiz rimane “Lascia o raddoppia?”, sempre con Mike Bongiorno quasi all’esordio. Il gioco prese avvio nel novembre 1955 per finire a luglio 1959. C’era ancora nell’aria l’eco lontano della guerra e l’amichevole atmosfera della trasmissione contribuì a provocare un ascolto di massa. Una sorta di “febbre del sabato” sera, diffusa lungo l’intero stivale. Un successo per la TV italiana nata il 3 gennaio 1954. In copertina – si fa per dire – l’ “omino pensieroso”, un putto con gli occhi grandi e il dito in bocca, la mascotte della trasmissione. Il montepremi iniziale era di 2.500 lire e, di raddoppio in raddoppio, poteva arrivare ad oltre 5 milioni. Per la prima volta, apparve, accanto al conduttore, la figura della televalletta. Maria Giovannini (Miss Roma) fece da apripista; poi Edy Campagnoli che crebbe di notorietà sposando Lorenzo Buffon, portiere della Juventus, vincitore di 5 campionati in Serie A e parente, un po’ alla lontana, dell’attuale bianconero Gianluigi Buffon.
Quelli con il crine grigio ricorderanno di sicuro il raffinato Gianluigi Mariannini dall’eloquio forbito e l’abbigliamento stravagante; la maggiorata Maria Luisa Garoppo e soprattutto Lando Degoli, uno dei primi a bucare lo schermo. Sapeva tantissimo sulla musica lirica. Mike gli chiese: Giuseppe Verdi ha mai usato il controfagotto in qualche sua opera? Risposta all’ultimo secondo: Nel Falstaff. E Mike sconsolato: Mi dispiace, la risposta esatta è Don Carlos. E scoppiò subito una polemica nazionale tra i melomani. Alla fine Degoli venne riammesso, ma durò poco. E ancora Luciano Zeppegno che rispose a tutte le domande e fece un ottimo bottino. Eravamo in una fase economica non ancora al boom; il televisore in casa ce l’avevano in pochi. I locali pubblici si attrezzarono subito di fronte al “ciclone” degli ascolti. Persino le sale cinematografiche dovettero adeguarsi, interrompendo il film al momento di “Lascia o raddoppia?”
Insomma, Mike Bongiorno e quell’originale primogenito della famiglia dei telequiz fecero un miracolo di presenze dinnanzi alla TV. Fu nel tempo successivo, il presentatore a raddoppiare, divenendo il mattatore del piccolo schermo, con il suo gioioso “stacchetto”: Signore e signori, allegria! Ha dominato la scena, dall’esordio, fin quasi all’8 settembre 2009, giorno della morte improvvisa. Tanto popolare lo spettacolo che fece da occasione per un film: “Totò, lascia o raddoppia?”. Il re della risata Antonio De Curtis nei panni gaglioffi del Duca Gagliardo della Forchetta che, all’ippodromo, vendeva informazioni a pagamento su presunti cavalli vincenti. In ruoli di primo piano – oltre a Buongiorno – la soubrette del momento Dorian Gray e quindi Valeria Moriconi, Rosanna Schiaffino, Carlo Croccolo, Luigi Pavese. Non si trattò di un capolavoro, come non lo furono altri nei quali l’arte di Totò venne usata a soli scopi commerciali.
Il monopolio RAI durò ancora per molti anni. Quindi cominciarono a nascere le televisioni locali a seguito della sentenza della Corte Costituzionale (anno 1974) che dette legittimità alle trasmissioni via cavo e, due anni dopo, anche via etere. In primis, Telemilano che assorbì Telemilanocavo e divenne, più avanti, Canale 5 di Silvio Berlusconi.
E’ di quei tempi e sarebbe un “sacrilegio” dimenticarlo, il Musichiere di Mario Riva, attore e intrattenitore di talento. Ebbi il piacere di ascoltarlo in teatro, a Terni, in un paio di occasioni, quando faceva coppia con Riccardo Billi e si potevano godere le grazie di Luisa Poselli, emula di Wanda Osiris. Dal dicembre 1957 al maggio 1960, Il Musichiere andò in onda per 90 puntate, facendo segnare un record di 19 milioni di telespettatori. Si trattava di indovinare il titolo dei motivi musicali eseguiti dall’orchestra di Gorni Kramer, cantati da Jonny Dorelli, Nuccia Bongiovanni e Paolo Bacilieri; i concorrenti sulla sedia a dondolo, pronti a scattate per suonare la campanella che dava diritto di precedenza alla risposta.
Ebbe ospiti al microfono, tra i tanti famosi, Coppi e Bartali, Totò, Gary Cooper, Marcello Mastroianni, la prorompente bionda Jayne Mansfield. Divenne un concorrente noto al pubblico tale Spartaco D’Itri che rimase in gara per 15 settimane e vinse 8 milioni, sempre in gettoni d’oro. Ad introdurre lo spettacolo, Mario Riva con il motivetto “Domenica è sempre domenica, si sveglia la città con le campane …” Aveva appena terminato di condurre Il Musichiere, quando morì, il 1 settembre 1960, per le conseguenze di un banale incidente – cadde in una buca del palcoscenico all’Arena di Verona – che turbò l’Italia intera che aveva imparato ad apprezzarlo ed amarlo.
C’erano altre figure popolari durante quegli anni, rimaste nell’immaginario collettivo e nella storia della televisione dei pionieri. Come il maestro Manzi (Alberto) con “Non è mai troppo tardi” (1960 – 1968), importante strumento didattico nella lotta all’analfabetismo; il prof. Cutolo (Alessandro) apprezzato divulgatore culturale con “Una risposta per voi” (1954 – 1968). Commetterei un altro peccato trascurando, in chiusura, “Carosello” (1957 – 1977), il teatrino dei consigli per gli acquisti. Quello dell’Omino coi baffi, di Ulisse e l’ombra, di Caballero e Carmencita, di Capitan Trinchetto, di Calimero il pulcino nero. Ragazzi, che tempi quei tempi !