di Adriano Marinensi – Ho scritto, tempo addietro, della piaga che l’Italia ebbe a patire durante gli anni dei sequestri di persona. Innumerevoli nel periodo tra il ’70 e l’80 del ‘900: la media di un sequestro alla settimana. Con l’Aspromonte, montagna simbolo dei nascondigli. Una violenza criminale subita da uomini, donne, adolescenti e persino bambini, tanti bambini. E’ l’associazione per delinquere più odiosa e un settore di malavita degradante per un Paese civile. Vorrei aggiungere una breve appendice dedicata a due dei rapimenti che segnarono altrettanti record: per durata, l’uno e per numero di sequestrati in un colpo solo, l’altro. Il più lungo fu quello di Carlo Celadon, un calvario di sofferenze, per lui e la sua famiglia, durato 831 giorni; il più numeroso, venne organizzato a danno di tre ragazzi tedeschi in vacanza dalle nostre parti: due sorelle, Susanna e Sabina Kronzuckel e il loro cugino Martin.
La sera del 25 gennaio 1988, Carlo Celadon, 19 anni, figlio di un imprenditore dell’industria conciaria, è a cena nella sua casa di Arzignano, in Veneto. Con lui ci sono soltanto i domestici. All’improvviso, quattro banditi, come al solito armati e mascherati, fanno irruzione attraverso la porta del giardino, lo prelevano e, legato mani e piedi, lo caricano sopra un’ auto che inizia un viaggio infinito verso la Calabria: 17 ore senza alcuna sosta. I banditi sono uomini della ‘ndrangheta, professionisti senza scrupoli, a caccia di tanti soldi da investire nel traffico della droga e nella speculazione edilizia.
Carlo viene nascosto in una buca sull’Aspromonte, assicurato con catene ai piedi e sfamato a pane e formaggio. Il padre Candido si trova in Kenia, insieme all’altra figlia Paola: il fratello più grande di Carlo è in viaggio di nozze. Tutti tornano rapidamente ad Arzignano. Passano alcuni mesi nel silenzio angosciante. Una sera di aprile, finalmente arriva la prima telefonata credibile; la voce è di un uomo che chiede 5 miliardi di lire per il riscatto. Chissà perché, dice di chiamarsi Agip. Lascia il messaggio e chiude.
Si arriva al primo incontro in un borgo del sopramonte calabrese: i fratelli Celadon consegnano cinque miliardi, ma dell’ostaggio nessuna notizia. Di nuovo c’è soltanto, di li a poco, l’arresto di coloro che avevano preso in consegna il denaro, peraltro sparito. Da quell’episodio, per sette lunghissimi mesi, sul destino di Carlo cala il sipario. Poi, torna in scena Agip e riprendono le trattative. Dopo altri due mesi viene fissato il secondo abboccamento per la consegna di altri due miliardi, che si aggiungono ai cinque, facendo diventare faraonico il riscatto.
Finalmente si arriva alla mattina del 4 maggio 1990. Sono trascorsi, come scritto all’inizio, due anni e tre mesi da quell’ormai lontano 25 gennaio 1988. Carlo viene liberato lungo una autostrada. Lo soccorre per primo un automobilista di passaggio, poi arrivano i Carabinieri. Era steso a terra, senza più un briciolo di energia, ridotto pelle e ossa e trenta chili in meno di carne addosso. La sua eroica resistenza contro la feroce follia dei delinquenti era finita. Salvo gli arresti di qualche tempo prima e il successivo del “telefonista” Agip, il resto della banda è rimasto in libertà. Forse pronto a mettere in atto un’altra delle azioni che mortificarono il nostro Paese durante quella sciagurata “stagione dei rapimenti”. Disse Carlo Celadon, da adulto, che non gli era possibile togliersi dalla mente il ricordo della terribile esperienza vissuta da ragazzo: indelebile come il marchio imposto ai deportati nei campi nazisti.
Da un rapimento record, ad un altro. Siamo al 25 luglio 1980, a Barberino Val d’Elsa, in Toscana. C’è subbuglio da quelle parti: polizia dovunque e una gigantesca caccia all’uomo. Hanno appena rapito tre ragazzi tedeschi, di giorno, così com’erano vestiti, a bordo piscina. La notizia non è ancora sulla stampa, però ha dell’incredibile: tre ostaggi presi in un solo colpo banditesco, al solito scopo di estorsione. C’è dietro una organizzazione di prim’ordine ed in mano agli inquirenti pochi elementi di indagine. Dunque, i rapiti non sono italiani, come sempre prima, invece tedeschi, tutti teen – agers. Prima ipotesi: una azione di natura politica per finanziare le brigate rosse o nere. Macché, la famiglia non ha alcuna particolare collocazione d’alto rango. Seconda ipotesi: uno scambio di persona. I Kronzucker erano ospiti nella villa del Principe Filippo Corsini: forse l’obiettivo dei malviventi erano i figli del nobile ed hanno commesso un errore.
I toscani si sono appena ripresi da altri due rapimenti di una donna e di un bambino ad opera di una banda di pastori sardi. Ed ora entrano di nuovo nel tunnel della paura. All’opera c’è il Reparto Celere di Firenze, una muta di cani poliziotto frugano il terreno attorno, i casolari abbandonati, i possibili rifugi vengono setacciati, alcuni elicotteri sorvolano il territorio. In appoggio alla Polizia italiana, sono giunti dalla Germania, due Funzionari della Bunderskriminalamt (18 lettere!), con l’aggiunta del Console di Germania. Insomma, dall’estero, questa volta, ci stavano guardando. E toccava fare le cose per bene.
Del commando dei rapitori, pare faccia parte il famigerato Mario Sale, conosciuto dalle Forze dell’ordine come Attila, personaggio molto pericoloso. E latitante da un bel po’ di tempo, dopo l’evasione dal carcere di Siena; già condannato a 26 anni di reclusione e colpito da mandato di cattura per altre azioni dell’anonima sequestri. Insomma, un soggetto ad alto tasso di criminalità. Intanto, sul fronte delle indagini, nulla di nuovo. “Non sono un miliardario”, fa sapere il padre; interviene pure il Cardinale Benelli, Arcivescovo di Firenze. E addirittura il Papa Giovanni Paolo II con un “pressante, angoscioso appello.”
Ed ecco, verso la fine d’agosto, la richiesta dei malfattori: 5 miliardi, che pare siano stati puntualmente versati. C’è anche una delirante lettera, firmata “Chaka 17”, alias Mario Sale, da pubblicare sui giornali, tra le condizioni poste ai genitori per il rilascio. L’incubo finisce il 1 ottobre, dopo 37 giorni: i tre ragazzi tornano liberi. Una grande folla li saluta all’uscita dalla Caserma dei Carabinieri, a testimonianza della partecipazione alla angosciosa vicenda vissuta dalla famiglia. Ma la figuraccia, all’estero, per quel “sequestro con pagamento del riscatto”, l’Italia l’aveva già fatta. Per di più – si legge in cronaca d’epoca – “al termine del processo alla filiale toscana dell’anonima sarda, Mario Sale è stato assolto per insufficienza di prove.” Quasi che quello dei tre ragazzi tedeschi fosse stato, per assurdo, un falso rapimento.