Di Adriano Marinensi- Gli incidenti stradali con i raccoglitori di pomodori morti, le paghe da strozzini per molti di loro, le condizioni di vita quasi primitiva, il sopruso del caporalato: queste “mostruosità sociali” che tutti conoscono e nessuno fa nulla per reprimere o modificare, ce le hanno raccontate, per l’ennesima volta, gli organi di informazione. L’opinione pubblica e, ancor più, i politici, con le loro ipocrite dichiarazioni, ad indignarsi quel giorno, salvo due giorni dopo dimenticare, sino al prossimo fatto di cronaca nera che riproporrà l’indignazione e poi la solita smemorataggine. Che il vocabolario definisce “abitudine a dimenticare”.
E’ risaputo – lo dice una puerile canzonetta – che per fare l’albero ci vuole il seme; e per fare il sugo ci vuole il pomodoro, in talune italiche contrade denominato l’oro rosso, raccolto soltanto da mani nere. Mani nere che, se lavorano per la produzione dei generi alimentari vanno bene, sennò sono clandestine. Comunque, se ti serve la “passata di pomodoro” per condire le ciriole alla ternana oppure le pappardelle alla lepre, vai al “mercatone” e la puoi comprare già pronta in elegante bottiglia completa di tappo ed ammiccante etichetta, messa lì soltanto per esaltare le qualità del prodotto. La bottiglia la trovi, sopra provocanti espositori, insieme ad una miriade di incarti di alto decoro, illuminati da luci tipo locale notturno, pagabili, gli acquisti, in una lunga fila di casse. E’ il supermercato, bellezza! Il moderno ritrovato commerciale che arraffa la parte più sostanziosa dei quattrini sborsati dall’acquirente, spesso indotto dalla scenografia e dalle offerte speciali a comperare l’utile e l’inutile, il necessario e il superfluo. Venghino signori, venghino!
Mi sono chiesto, mentre guidavo il carrello della spesa (al fianco di una signora che il suo lo aveva riempito di sfiziosità per il gatto di casa al quale i topi, per carità, fanno proprio schifo); mi sono chiesto come fanno le “grandi superfici” a crescere e moltiplicarsi così facilmente da diventare “catene alimentari”. Una sommaria spiegazione me l’ha fornita la Coldiretti con una serie di dati riferiti proprio alla bottiglia della “passata di pomodoro”. In questo modo: Il prezzo pagato alla cassa per circa la metà se lo cucca il supermercato, il 18% va alla produzione industriale, il 10% costa la bottiglia, il 6% il trasporto; il 3% il tappo e l’etichetta, il 2% la (talvolta ingannevole, talaltra demenziale) pubblicità televisiva, talché il prodotto vale soltanto l’8%. C’è un costo ovviamente anche per la raccolta, quantificato, sempre dalla Coldiretti, come segue: per la manodopera regolare 7 euro l’ora, per l’altra 3 euro. Quella manodopera, che si arrostisce sotto il solleone, vale molto meno dell’1%.
Insomma, se si potesse comprare la “passata” sciolta anziché in bottiglia, il risparmio per la donna di casa sarebbe sontuoso. Anche perché la bottiglia, bene che va, finisce nel cassonetto del vetro, l’etichetta e il tappo nella spazzatura. Si tratta di orpelli che non servono per il sugo e la massaia farebbe volentieri a meno di elargire la grossa mancia al padrone del “mercatone”; il quale in cambio le fornisce luci psichedeliche, espositori caleidoscopici, scale mobili e immobili ed altre esche per l’abbocco. Pure con gli opuscoli che intasano le cassette della posta, nell’androne di casa. Sui quali ogni mercanzia è presentata con effetti speciali al solo scopo di lucro. Magari aumentando il prezzo e sbandierando il “prendi due e paghi uno”.
Quand’ero bambino, il Corriere dei Piccoli mi narrava le avventure di un personaggio di fantasia – si chiamava Alambicchi – che possedeva una cera miracolosa. Se la spalmavi sopra la figura di una persona o di una cosa, quella si animava e diventava reale. Mi è tornata in mente la cera di Alambicchi e ho cercato di spalmarla su una fotografia che ritrae il “mercato dell’erba”, a Terni, più di mezzo secolo fa, ubicato nella piazza retrostante il Comune vecchio. Nella mia immaginazione hanno preso i loro corpi una miriade di “fruttaroli”, mischiati, fitti, fitti, ad altrettanti compratori.
Certo, a differenza dell’odierno supermercato, a prevalere, nella dagherrotipia, era il colore nero dei vestiti lunghi indosso alle donne e degli immancabili cappelli in testa agli uomini; nessun risalto ballista avevano i prodotti portati dai contadini, sopra la carretta spinta a mano, dal campo, appena il gallo aveva cantato, al punto vendita. Però, la “passata” la potevi fare, in cucina, quasi gratis, comprando i pomodori freschi al banco; senza bottiglia, tappo, etichetta, conservanti ed altre diavolerie aggiunte. E soprattutto senza ingrassare il conto in banca delle moderne e innaturali “catene (dei generi) alimentari”. Non sono un partigiano degli indiani d’America che facevano la guerra alla ferrovia e al progresso, però lasciatemi dire ancora, come altre volte per analoghe nostalgie: Che tempi, quei tempi!
Ora le solite scuse al lettore per uscire dal seminato. Martin Luther King aveva un sogno (“I have a dream”, disse); io soltanto un piccolo desiderio, quello di inviare, sotto forma si èreghiera, una letterina di Natale al Bambinello. Seppure in largo anticipo, la scrivo qui. Caro Gesù Bambino, guardo sovente, in T. V., gli avvenimenti sportivi (calcio, ciclismo, sci e pugilato, auto e motociclismo) e non riesco ad apprezzare lo spettacolo, peraltro bello e a colori, a causa delle assillanti e logorroiche telecronache (corredate spesso da insulse “interviste a caldo”). Soggetti estranei, attraverso il teleschermo, entrano in casa mia e la inondano di parole per raccontarmi immagini da me già viste un istante prima. E quando l’”affabulatore principale” riprende fiato, entra in azione lo “spiegatore” per riempire il vuoto con il suo insipido sapere tecnico (nel calcio – ad esempio – “bisogna aggredire gli spazi”! Ma che vordì?).
E’ vero, caro Bambinello, che Tu, da grande, ci hai insegnato il dovere cristiano di sopportare pazientemente le persone moleste, ma questi sono proprio intollerabili. Ecco la mia supplica innocente: al momento della telecronaca, Tu che puoi tutto, manda a costoro una innocua e temporanea afasia, onde evitare a me il tormentone sopra descritto e far capire ad essi che quella televisiva non è una radiocronaca e quindi la metà delle parole pronunciate basta e avanza. E così sia.