di Adriano Marinensi – Fosse il racconto d’una favola, dovrei cominciare con il consueto “c’era una volta… ”Siccome si tratta di fatti realmente (e farsescamente) accaduti molto tempo fa, dovrò avviarmi in altro modo. Ci fu una volta, a Terni, un personaggio un po’ pittoresco, un po’ ballista, il quale, piovuto chissà da quale cielo, si sedette al timone di comando della Ternana calcio.
Quell’illustre signor Presidente era iscritto all’anagrafe romana come Domenico Migliucci (con la “gl”). Anzi, il dottor Migliucci. Pur se il titolo cartaceo, mai nessun lo vide. Il suo regno in rosso – verde – così certifica il bene informato Almanacco Armadori – ebbe inizio a novembre 1985 e termine nel dicembre 1987. Fu un biennio di mirabolanti imprese (mica sportive!). Ufficialmente si dichiarò dipendente della Direzione Nazionale della D.C., però faceva anche altri mestieri di maggiore censo. Viste le tragiche condizioni finanziarie del sodalizio – era entrato in campo il giudice fallimentare – con l’arrivo di Migliucci, ai tifodi con la testa a forma di pallone, parve giunto Babbo Natale, con un sacco pieno di cose buone. Il Dottore si piazzò al centro della scena ed ebbe principio la commedia, coprotagonista una Ternana costretta a recitare il ruolo ridanciano della “gemella” del Borgorosso Football Club di Alberto Sordi.
Nell’estate del 1986, i “grifoni” umbri andarono a far compagnia ai rosso – verdi. Il Perugia infatti precipitò dalla Serie B in Serie C 2 per ragioni di calcio scommesse che travolsero il mondo pallonaro italiano e ch’è meglio non ricordare. Si giocava con Bisceglie, Francavilla, Casarano, Fidelis Andria, Jesina e simili. Insomma, roba piccola per dare fama ad un qualsiasi Presidente. Tanto meno ad un Presidente come Migliucci. Gli vietarono l’uso del “Liberati” per gli allenamenti e lui fece il primo gesto eclatante: occupò il Palazzo comunale. Notizia purtroppo da cronaca locale. Non passarono neppure quattro settimane ed “ariecco” il Dottore alla ribalta: durante una partita tra Brindisi e Ternana, si mise a litigare con un alto Funzionario di polizia e per poco non finì in gattabuia. Comunque, a livello di informazione, l’alterco gli fece fare un salto di qualità.
Occorreva però far parlare più ad alta voce la stampa per avere l’applauso. Ecco allora la Ternana recarsi al mercato ed acquistare calciatori di rilevante notorietà. Si gridò al miracolo quando a Terni arrivarono dalla Lazio, D’Amico, Di Canio, Torrisi e dal Varese Ravot. Che grande Presidente, ragazzi! Questo si che fa sul serio e mira veramente all’Olimpo del calcio (o dei calci). Il primo – come dire? – accadimento dall’odore di bruciato si ebbe a Gubbio (Gubbio – Ternana 1 a 0). Finita la partita, il Dottore se la svignò all’inglese, lasciando insolute le fatture dell’albergo, per se e per la squadra (pare non si trattasse dell’unica volta). L’auto che era rimasta nel garage dell’hotel, la mandò a ritirale il giorno appresso. L’albergatore pretendeva il saldo e fece resistenza. Per sbrogliare la matassa dovettero intervenire i Carabinieri.
La adeguata rappresentazione di se stesso però non decollava. Allora ecco il colpo di spettacolo, che decretò una grossa e grassa notorietà: L’invito a pranzo con partita. Questo il titolo con il quale La Repubblica dette la notizia il 12 marzo 1987, a firma del collega Alvaro Fiorucci. Il signor Presidente aveva arringato gli sportivi per una “scampagnata” sugli spalti del “Liberati”, in occasione dell’incontro Ternana – Francavilla (1 a 0) del Campionato di Serie C 2 (questo cacciava il convento). Le ciriole “all’aio e l’oio”, con annesso secondo, contorno e frutta, gratis s’intende, le consegnarono insieme al biglietto d’ingresso, tramite appositi distributori culinari. Mangiarono a sbafo in più di seimila. Tanto sport e folklore, allegria e “volemose bene”. Insomma, una idea confezionata su misura per il personaggio, il quale – si legge nell’articolo de La Repubblica – all’inizio, “si era presentato come padre – padrone … piglio manageriale, metodi bruschi, scontri duri con chi intralciava i suoi programmi”. Quindi – mi permetto di chiosare – senza indulgere mai ad alcun retrogusto salottiero, però mischiandoci, ad arte, qualche dose di elegante teatralità. Facendogli annusare il profumo della storia.
Dichiarò al cronista: “Ho invitato tutti a pranzo, perché voglio dimostrare che gli stadi sono luoghi per famiglie e ci si può stare anche per addentare una coscia di pollo.” Basta con la violenza negli stadi! (Renato Pozzetto). Ecco allora il desinare con i fiocchi, apparecchiato alla paesana, dal costo totale calcolato a preventivo intorno ai 100 milioni. Di chi abbia pagato il cospicuo fatturato – nella pagina di storia delle fanfaluche, scombiccherata a quel tempo – non vi è traccia. Visto però lo “scoperto di conto”, successivamente evidenziato nel bilancio della Ternana, la deduzione viene da sé. Mi permisi di scrivere, in riferimento a tale iniziativa, una breve nota senza risparmio di “punture di spillo”. Chiedendo aiuto a Trilussa, conclusi così: “La lumachella della vanagloria, ch’era strisciata sopra un obelisco, guardò la bava e disse già capisco che lascerò un’ impronta nella storia”. Il giornale (Il Tempo di Roma) la pubblicò e il Dottore s’arrabbiò. Mi giunse una telefonata dal compianto amico Varo Conti, Segretario storico della Ternana: “Il Presidente ti vuole parlare”. Il colloquio non ci fu, ma posso ancora oggi immaginarlo burrascoso.
In riferimento a quella travagliata fase sportiva vissuta a Terni, ho letto da qualche parte, che la tifoseria rosso – verde visse “momenti di angoscia dovuta al malgoverno calcistico locale, basato su debiti, mancati impegni e comportamenti eccentrici”. E il già citato Almanacco Armadori aggiunge: ”Le speranze malriposte avevano lasciato il segno, poiché in molti s’erano lasciati illudere dalle promesse vane. L’imprenditore romano gettò invece la Ternana dalla padella nella brace, portandola addirittura sino all’orlo della radiazione”. Così – lo scrivo in rima – la Terni del pallone fu invasa dalle bolle di sapone.
E sotto la brace rimase un bel po’ di cenere, cioè un debito di 600 milioni che il nuovo presidente non volle accollarsi. Dissero i bene informati che 230 di quei milioni di “buffi” derivavano dal contratto faraonico elargito a Vincenzo D’Amico in C 2, che manco in Serie A. Poi arrivarono i tempi di Gaspare Gambino in Serie C 1 e di Rinaldo Gelfusa in Serie B. Sino al declassamento nel Campionato dilettanti nelle stagioni 1993 – 94 e 1994 – 95. La gloria vera, arrisa per meriti calcistici e non con guasconate, la Ternana l’aveva conquistata grazie alle promozioni nella massima divisione (1972 – 73 e 1974 – 75) con Giorgio Taddei Presidente, gli allenatori Viciani, Riccomini e Omero Andreani, Giuliano Taviani medico sociale, Luciano Madolini massaggiatore, il già nominato Varo Conti Segretario “immortale”. Quella fu vera fama sportiva, che poi si scolorì per lasciare il posto all’amarezza e nell’epoca “migliucciana” del mistero buffo, alle giullarate.