di A.M.A.R. – Ammonisce l’adagio: Oltretomba non va l’ira nemica. Il caso di Raffaele Cutolo – morto qualche giorno fa – forse non rientra nel proverbio. Perché, l’ira di tanti italiani angariati, contro questo enorme esemplare di camorrista, difficilmente potrà placarsi. In nome del popolo, i Tribunali l’avevano fatto rinchiudere vita natural durante (4 ergastoli) nelle patrie galere, dove vige il rigore del cosiddetto 41 bis. S’usa dire 41 bis per intendere la forma di carcere duro prevista dalla L. 10 ottobre 1986, n.663 che stabilisce tale pena per una serie di reati infami. Tra essi, i delitti di mafia e simili.
Cutolo era il camorrista per antonomasia, il camorrista che più non si può, di massima pericolosità sociale; mai una parola di pentimento per la sua attività criminale, un “santone” della malavita intesa come religione apocrifa. Degli 80 anni vissuti, 55 ne ha trascorsi dietro le sbarre. La condizione di carcerato quasi perenne, non gli ha impedito di diventare il capo assoluto della Nuova Camorra Organizzata (N. C. O.). Gerarchicamente strutturata, dalla base al vertice. La domanda più che ovvia è: Come ha potuto don Raffaele, da recluso, mettere in piedi una così potente associazione per delinquere, addirittura di tipo paramilitare? Si può rispondere: E’ d’uso, dalle sue parti, offrire un occhio di riguardo (e pure due) a certi “mammasantissima” se ti vuoi salvaguardare la pelle. Altrimenti, kaput.
Un nemico ce l’aveva: La Nuova Famiglia (N. F.) che raggruppava quanti si misero paura per il suo esagerato potere. Per anni, in Campania, fu lotta senza quartiere tra N. C. O. e N. F., capeggiata da Mario Fabbrocino, sanguinario di pari ferocia. Risultato, una mattanza da grandi numeri. Ad esempio: nel 1981, morti ammazzati 295, nel 1982, 273, nel 1983, 290. Un bollettino di guerra civile. Anzi, incivile. La N. C. O. è penetrata, in breve tempo e con metodi violenti (o la borsa o la vita), in molti ambienti della politica e dell’economia. Fecero da detonatore i miliardi di lire, dirottati verso la Campania, per risanare i danni catastrofici (1980) provocati dal terremoto in Irpinia.
Ma, molte altre occasioni non mancarono per mettere a segno affari sporchi, dato che il potere chiama denaro, al poco nobile fine di dominare il territorio e i suoi abitanti. Fecero man bassa dei fondi CEE, stanziati a favore dell’industria conserviera. Don Raffaele acquistò persino un castello storico di età longobarda, per soli 270 milioni di lire, ad Ottaviano. Clamorosa l’evasione col botto dal manicomio giudiziario di Aversa: I picciotti misero una carica di dinamite nel muro di cinta per farlo fuggire.
Il sistema di intimidazione della N. C. O. era classico delle cosche mafiose: Il Sindaco di Pagani, per aver bloccato un appalto lucroso, venne ucciso, così come i tanti altri postisi di traverso. Le “autorità costituite” probabilmente non si dettero molto da fare: Invece di riempire le celle, i contendenti riempivano i cimiteri, risolvendo numerosi problemi di ordine pubblico. A chi lo accusava dei crimini commessi, don Raffaele una volta rispose: “Se fare del bene, aiutare i deboli, far rispettare i valori e i diritti calpestati dai potenti e dai ricchi, vuol dire camorra, allora questa qualifica mi sta bene”. A parere suo, un benefattore alla Robin Hood. E non invece, qual era, un promotore di omicidi, di faide e di agguati, perpetrati senza alcun briciolo di umanità.
Figlio di un contadino e di una lavandaia, grazie alle sue diaboliche virtù gangsteristiche ebbe un enorme seguito di adepti, reclutati dentro e fuori gli ambienti carcerari. Ha avuto un erede maschio, Roberto, ucciso a Tradate, in provincia di Varese, nella lotta per bande; e una femmina, nata una dozzina di anni fa, mediante inseminazione artificiale. Entrò presto in carriera, a 22 anni, quando prese a revolverate un incauto dongiovanni che aveva fatto audaci apprezzamenti verso la sorella Rosetta.
Gli attribuirono un ruolo di mediatore nel sequestro dell’Assessore D. C. Ciro Cirillo e nel rapimento di Aldo Moro; strinse rapporti paralleli sia con la banda della Magliana, sia con i Servizi Segreti, con fuorilegge del calibro di Renato Vallanzasca e Francis Turatello, morto sparato per delega di don Raffaele. Ci sono un sacco di “faldoni giudiziari” in giro per i Tribunali italiani, intestati a Cutolo. Di recente, i Giudici hanno scritto: “Nonostante la tarda età e la perdurante detenzione, rappresenta un simbolo per tutti quei gruppi criminali che si richiamano al suo nome”.
E, come tutti i simboli di forte segno negativo, è stato sepolto in forma strettamente privata e sotto nutrita scorta. E s’è portato appresso molti indicibili segreti. Disse: “Se parlo io, ballano le scrivanie di mezzo Parlamento”. Ora sta nel Camposanto di Ottaviano, alle falde del Vesuvio, insieme al suo competitor Mario Fabbrocino e ai tanti altri camorristi caduti sul fronte delle lotte mafiose. Chissà se c’è anche il luogotenente e stretto collaboratore del boss dei boss. Si chiamava Pasquale Barra, colui che accusò Enzo Tortora di reati mai commessi. La sua figura ebbe parte di rilievo nel film “Gomorra”. Nel manifesto a lutto, sotto al nome (è lui il luogotenente), ci scrissero ‘o studente per indicare la stretta vicinanza con don Raffaele ‘o professore. Di film un altro ce n’è, “Il Camorrista”, dedicato alla vicenda di Cutolo. E’ stato girato nel 1986, con la regia (opera prima) di Giuseppe Tornatore e l’interpretazione di Ben Gazzara. Fanno parte della ricca iconografia cinematografica, dedicata alle gesta della malavita negli anni dell’onore e rispetto e del grande “fulgore terroristico”, in Campania e Sicilia.