Riceviamo e pubblichiamo
“La pandemia di Coronavirus è riuscita a scoperchiare (a livello nazionale e locale) il vaso di Pandora, facendo emergere tutto quello che 20/30 anni di tagli lineari sui servizi pubblici essenziali hanno portato come conseguenza.
Quello che era il Servizio Sanitario Nazionale, istituito nel 1980 come bene universalmente fruibile e gratuito, attento alle necessità dei cittadini di ogni ceto sociale, è diventato, con il passare degli anni, un servizio sempre meno rispondente alle reali necessità della popolazione e sempre più condizionato dai vincoli di bilancio. Il tutto non per inefficienza degli operatori sanitari ma per una costante riduzione di risorse, che ha messo di fatto chi opera nel SSN a non poter far fronte, nei tempi e nei modi attesi, alle esigenze della popolazione, determinando liste di attesa inaccettabili, cambi di priorità negli interventi, delocalizzazione degli stessi, posti letto ridotti ai minimi termini, ecc.
Nella trasformazione del 1992 da USL (Unità Sanitaria Locale) ad ASL (Azienda Sanitaria Locale) si è andato sostituendo il concetto di PAZIENTE (persona da curare) con il concetto di CLIENTE (persona a cui erogare un servizio al minor costo possibile/massimo margine per l’”azienda”). Invece di operare per mantenere il servizio pubblico e renderlo sempre più efficiente, si è scelto di accogliere l’idea liberista del privato come necessariamente più efficiente (“più Impresa, meno Stato” era lo slogan di quegli anni).
Abbiamo quindi visto ridurre costantemente la presenza del pubblico nella Sanità e destinare investimenti a favore del privato, con l’idea data per assunta che il privato fosse più efficiente ed efficace del pubblico (nel quale abbiamo comunque registrato in questi anni crescenti sprechi e costi di gestione fuori controllo).
Uno degli effetti più devastanti è stato lo smantellamento progressivo ed inesorabile delle strutture sanitarie territoriali di base (chiusura dei piccoli ospedali e riduzione dei servizi assistenziali alla popolazione). In Umbria abbiamo assistito alla chiusura di 4 ospedali (Gubbio, Gualdo Tadino, Todi e Marsciano) e alla riconversione di 2 ospedali (Città della Pieve e Umbertide, che ha ancora attivo il reparto di Medicina) a fronte della creazione di 2 nuovi poli (Branca e Pantalla), oltre alla sostituzione del vecchio ospedale di Foligno.
In questo scenario si è inserita l’emergenza COVID-19, che ha determinato che l’ospedale di Pantalla venisse riconvertito a struttura dedicata solo al virus e che rimanessero comunque dei reparti dedicati anche presso gli altri ospedali regionali, con il problema di come affrontare i prossimi mesi/anni di convivenza con il virus fino alla validazione e messa in campo di un vaccino specifico.
La Regione propone intanto di realizzare un nuovo ospedale “da campo”, per dedicarlo ad eventuali future emergenze, utilizzando i 3 milioni di Euro dedicati da parte della Banca d’Italia.
Tutto questo appare senza una logica che parta da una visione globale e di lungo termine della situazione del Sistema Sanitario Regionale: nel territorio, infatti, abbiamo la disponibilità di spazi attualmente non utilizzati (vedi ad esempio il centro staminali di Terni, ex “Milizia”, attualmente in disuso e già organizzato per poter operare in tempi brevissimi), che potrebbero essere riconvertiti con una spesa minore di quella prevista per l’ospedale da campo.
Questo consentirebbe anche di ripristinare all’originale funzionalità l’Ospedale di Pantalla e tutti gli altri reparti attualmente dedicati, tornando ad offrire un servizio accettabile alle popolazioni residenti e che debbono convivere giornalmente con le esigenze di cura (vedi malati oncologici, e dializzati, che sono coloro i quali più soffrono al momento di questa situazione).
Inoltre, riteniamo che sia arrivato il momento di correggere gli errori del passato, reinvestendo risorse nell’assistenza sanitaria di base, distribuita nel territorio, e potenziando la prevenzione, la qual cosa servirebbe anche a ridurre le spese complessive per le cure.
Anche in occasione di questa emergenza, si è infatti evidenziato come un intervento precoce, attuato a domicilio, sia stato utile in molti casi ad evitare l’aggravarsi della malattia, l’ospedalizzazione e gli esiti nefasti.
L’Umbria, che negli anni passati è stata all’avanguardia nella prevenzione e nell’assistenza sanitaria di base, torni ad investire maggiormente nei centri di salute territoriali, mettendo al centro l’interesse della popolazione e partendo dall’idea che si debba lavorare sulla prevenzione più che sulla cura”.
Associazione “Perugia Città in Comune”