Lo Stendardo della Santissima Trinità, una delle primissime attribuzioni a Raffaello, unica opera di Raffaello a Città di Castello, è stata digitalizzata in gigapixel prima dell’intervento di restauro condotto dall’Istituto superiore per la conservazione ed il restauro (Iscr) in vista della mostra “Raffaello giovane a Città di Castello e il suo sguardo”, curata da Marica Mercalli e Laura Teza, che si inaugurerà il 18 settembre presso la Pinacoteca comunale di Città di Castello.
L’intervento prosegue la proficua collaborazione tra il Comune di Città di Castello e Haltadefinizione, tech company di Franco Cosimo Panini Editore.
Il lavoro su quest’opera avviene dopo la recente operazione di ricollocazione del clone dello Sposalizio della Vergine nella Chiesa di San Francesco.
Attraverso l’acquisizione con tecnologia gigapixel realizzata da Haltadefinizione, sarà dunque possibile avere un fermo immagine dettagliato dello stato di conservazione appena prima del restauro e una visione ravvicinata della superficie pittorica, che consentirà di mappare in modo approfondito ogni singola pennellata e le crettature con una precisione nell’ordine di decine di micron. In questi casi, l’acquisizione in alta definizione di un’opera d’arte, è un valido supporto per individuare forme di degrado come sollevamenti o distacchi della pellicola.
Gonfalone della Santissima Trinità, 1501-1502 ca.
Lo stendardo processionale proviene dalla trecentesca chiesa della Santa Trinità in via della Fraternita a Città di Castello.
Su un lato del gonfalone sono rappresentati la Trinità con ai lati i santi Rocco e Sebastiano, mentre sull’altra faccia è raffigurata la Creazione di Eva dalla costola di Adamo e due angeli.
La datazione dell’opera resta incerta. Per alcuni risale al 1499, anno di una terribile epidemia di peste che colpì la città.
A confermarlo sarebbe la presenza dei due santi Rocco e Sebastiano, invocati nell’iconografia tradizionale contro il flagello della peste. Secondo questa ipotesi il gonfalone sarebbe un ex voto realizzato dopo la pestilenza e andrebbe considerato come la prima opera realizzata da Raffaello a Città di Castello.
Altri sostengono, invece, che fu realizzata intorno al 1502, dopo che Raffaello aveva già eseguito in città la pala di San Nicola da Tolentino per la cappella Baronci nella chiesa di Sant’Agostino.
La prima menzione dello stendardo risale al 1627, quando viene anche attribuito per la prima volta a Raffaello.
La critica non è stata sempre concorde nel vedere dietro allo stendardo la mano dell’artista urbinate, ma esistono almeno due disegni preparatori autografi di Raffaello riferibili al gonfalone, di cui uno per la figura dell’Eterno nella Creazione di Eva conservato ad Oxford.
Diversamente dalla tradizione, che vede nella maggior parte dei casi le due immagini di uno stendardo dipinte su entrambe le facce della stessa tela, in questo caso l’opera è eseguita su due tele che dovevano essere in origine incollate o cucite.
Secondo le fonti, il gonfalone fu portato in processione dai confratelli almeno fino al 1627 quando, a causa dell’usura, si decise di separare le tele e porle su due altari laterali della chiesa di Santa Trinità per garantire una migliore conservazione. Da qui l’opera venne rimossa nel 1855 e dal 1912 entrò a far parte della collezione della Pinacoteca.
Nel tempo il gonfalone ha subito numerosi interventi di restauro. Nel 1952 l’Istituto Centrale per il Restauro di Roma (ICR) ha eliminato le integrazioni successive alla mano di Raffaello evidenziando le lacune pittoriche con il caratteristico colore rosso bruno, simile a quello della tela scoperta, che oggi possiamo vedere.