di AMAR – Il fascismo li ha chiamati i quadrunviri. In epoca romana antica – dice l’Enciclopedia – erano i 4 Magistrati che amministravano la giustizia nei Municipi; un secolo fa furono gli alti gerarchi che le immagini della Marcia su Roma ci hanno sempre mostrato, petto in fuori, ai lati di un sempre ingrugnito Mussolini. Uomini in perenne uniforme, i baciati dal potere, salvo cadere dalle grazie del Capo e finire nella polvere. Come accadde ad un paio di loro. I quattro si chiamavano Emilio De Bono, Michele Bianchi, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi, Comandanti generali delle “squadre d’azione” della prima ora.
La storia, più avanti, sottolinea, in particolare, le figure di De Bono e Balbo, per ragioni diverse: il primo fucilato, a Verona per aver firmato l’O. del G. Grandi che fece cadere il fascismo, nel 1943; l’altro ebbe invece un ruolo di rilievo in alcune imprese spettacolari (da avanspettacolo?) del regime. Poi, come Icaro, volò troppo in alto e il suo duce – sole gli squagliò le ali. Nei primi anni ’30 del XX secolo, l’aviazione italiana era l’ultima nata del grintoso militarismo fascista. Di coraggio aereo italiano s’era parlato anni addietro quando l’ardito Gabriele D’Annunzio, volò su Vienna, inondandola di volantini e riempiendo i giornali di grandi titoli. Parola d’ordine del Vate alla partenza:”Se non arriveremo su Vienna, non torneremo indietro!”
Italo Balbo, classe 1896, all’origine fu un ras ferrarese in camicia nera, ma appena due anni dopo la Marcia, divenne Comandante della Milizia Volontaria per La Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.) e, nel 1929, Ministro dell’Aeronautica, presto insignito del prestigioso titolo di Maresciallo dell’Aria. Il romagnolo rugoso era di tempra collaudata durante le lotte contadine, molto dure dalle sue parti.. Quando prese in mano l’aviazione italiana, non aveva neppure il brevetto da pilota; però, ci prese gusto e, animato dalla smania dell’eclatante, organizzò prima la Crociera aviatoria del Mediterraneo Occidentale, da Orbetello alla Spagna (61 velivoli), poi quella Orientale da Taranto a Costanza, per 5.300 km andata e ritorno. (35 bombardieri marittimi).
Siccome le due Crociere gli erano venute bene, subito si mise ad organizzare la terza, la Crociera aerea del decennale, meglio conosciuta cole la Trasvolata Atlantica, mai tentata prima. Per una adeguata preparazione fu scelto Orbetello dove sorse la Scuola di navigazione d’alto mare (NADAM). Dovendosi oltrepassare l’Oceano, la scelta cadde sugli idrovolanti. La meta da raggiungere Rio de Janeiro. L’itinerario prevedeva diverse tappe prima di attaccare l’Atlantico per il balzo prodigioso di 3.000 km. Si dovette prevedere un enorme rifornimento di carburante: per ragioni di peso, gli equipaggi dei 12 velivoli dovettero disfarsi persino del materiale di salvataggio.
Partenza degli Atlantici (così furono chiamati) durante la notte del 5 gennaio 1931. Quattro squadriglie, la nera in omaggio alla camicia, le altre tre bianca, rossa e verde. Il preludio risultò di pessimo augurio: due aerei caduti e uno disperso, con gravi perdite di vite umane. Nel cimitero di Orbetello c’è il “Riquadro degli Atlantici” dove sono sepolti i morti di quell’ardimento, insieme ad Italo Balbo ed agli otto membri di equipaggio caduti con lui il 28 giugno 1940. L’accoglienza oltreoceano fu clamorosa; trionfante in Patria, con Balbo primo attore di una recitazione sontuosa. Ora l’ex picchiatore delle campagne romagnole era diventato gloria nazionale, famoso in mezzo mondo. In fatto di notorietà, un’ombra capace di offuscare persino la luce del duce. Ed allora ecco per il troppo eroe un nuovo incarico, lontano dall’Aeronautica e dall’Italia: Italo Balbo, il Maresciallo dell’Aria scende a terra e diventa il nuovo Governatore della Libia, per mussoliniana volontà.
A Balbo dunque, non più le onde del mare salato, ma quelle del mare di sabbia. Che lui, per non tradire il suo stile, si mise in testa di farlo diventare un territorio “parte integrante della penisola”. Appunto, la quarta sponda. Però, inevitabilmente, la lontananza dalla firmamento del potere, provocò l’eclisse. Divennero lontani i tempi durante i quali – lo scrisse Mussolini in un telegramma – “tutto il popolo italiano ha vibrato per te di spontaneo entusiasmo”.
E giunse il 28 giugno 1940. Balbo si levò in volo da Derna su un trimotore denominato I – MANU, battezzato così in onore di sua moglie Emanuela. Aveva a bordo 8 membri di equipaggio, tra i quali tre Atlantici. Nel pomeriggio, era in corso un attacco inglese su Tobruch. Stava sorvolando la zona e decise di atterrare. Un incrociatore italiano si trovava all’ormeggio nei pressi del porto. Il velivolo di Balbo, in rapida discesa, lo scambiarono (forse che si, forse che no) per un incursore nemico e quindi venne abbattuto. Nessun superstite e una settimana di lutto nazionale. La notizia fece un rimbombo enorme: Italo Balbo, il trasvolatore dell’Atlantico, ucciso dal fuoco amico. Si disse che persino un aereo inglese avesse paracadutata una corona d’alloro con il messaggio che esprimeva “il sincero compianto per la morte del Maresciallo Balbo.”
Sul bollettino dell’Esercito si legge: “Le bandiere delle Forze Armate italiane s’inchinano alla memoria di Italo Balbo, Volontario alpino della Guerra mondiale, Quadrunviro della Rivoluzione, Maresciallo dell’Aria, caduto al posto di combattimento.” Insomma, un cordoglio corale, in Patria ed oltre confine. Forse, in taluni ambienti d’alto bordo del fascio, il rimpianto fu un po’ ipocrita: quel gerarca in meno e di tale dimensione, poteva far comodo a più d’uno. Ed anche all’uno supremo, con il quale il quadrunviro era entrato diverse volte in rotta di collisione. Per esempio, esprimendo il fermo dissenso all’entrata in guerra al fianco dell’alleato nazista. La vedova Emanuela Florio sostenne addirittura che l’ordine di abbattimento fosse partito da Roma. Ricevette vigorose rampogne in dileggio della pesante accusa, però l’ipotesi rimase valida nella memoria di tanti italiani. Fascisti e non.