di Adriano Marinensi – Il mese di dicembre, ormai al termine, sta negli annali della storia con date e avvenimenti importanti: ne ho annotati alcuni che credo siano memoria di generale interesse. Nel 1984, il Disastro di BHOPAL. Il 3 del mese, in India, si è verificato uno dei più gravi disastri industriali dell’era moderna. In una fabbrica produttrice di fitofarmaci, consociata del gigante USA Union Carbide, a causa di un guasto tecnico, 40 tonnellate di un micidiale aggressivo chimico (isocianato di metile) vennero immesse nell’atmosfera.
Ci furono Agenzie, attribuibili ad ambienti governativi, che parlarono di 15.000 vittime. Una catastrofe quantificata, all’ultima stima, con grandi numeri: 558.000 persone con danni fisici rilevanti, 3.900 invalidi permanenti ed un elevato indice di mortalità persistente nei territori contaminati dalla nube tossica. Nella sentenza di un Tribunale indiano si legge: omicidio colposo plurimo dovuto a negligenza grave. Ebbe una appendice tra il fantastico e il grottesco. Un tizio si presentò ai microfoni della B.B.C. inglese con dichiarazioni esplosive. L’azienda avvelenatrice aveva deciso di sborsare una somma astronomica per risanare l’ambiente e risarcire ogni danno. Era un impostore, membro di un sedicente “gruppo sabotatori culturali”. Lo presero sul serio e, in pochi minuti, le azioni della società persero, in borsa, 2 miliardi di dollari.
Ancora dicembre, questa volta a mano armata. Nel 1805, ad Austerlitz, Napoleone Bonaparte scese in campo contro la coalizione formata da russi e austriaci. La battaglia, durata appena un giorno, fa parte delle guerre napoleoniche e della 3^ Coalizione. Il corso era già Imperatore e guidava la Grande Armee. Quella vittoria può considerarsi il successo di maggiore prestigio dell’epopea napoleonica. Poco dopo l’alba del 2 dicembre, ad attaccare per primi furono quelli della “coalizione”. Dal punto di vista tattico non si trattò di un bell’inizio, anzi abbastanza confuso nei movimenti e scadente negli effetti militari.
Napoleone prese subito il sopravvento con alcune decisioni geniali. Disse ai suoi: “Soldati, dobbiamo concludere questa battaglia con un colpo di tuono che schiacci i nostri nemici”. Così avvenne. Seppure superiori di numero, gli austro – russi furono costretti ad una precipitosa ritirata. Molti di essi fuggirono sopra un lago ghiacciato che cedette sotto le cannonate francesi, inghiottendo uomini e mezzi. Due giorni dopo, Napoleone ricevette la resa direttamente dall’Imperatore austriaco Francesco II. Di nuovo ai soldati l’elogio: “Voi avete decorato le vostre aquile di una gloria immortale”. Di fronte alla sonora disfatta, lo Zar disse: “Siamo come bambini nelle mani di un gigante”. A ragione, perché le perdite erano state di 27.000 uomini tra morti e feriti, 12.000 prigionieri, anche 8 generali, oltre ad una grande quantità di armamenti. E per arrivare a Waterloo (18 giugno 1815) mancavano ancora dieci anni di violenze in Europa.
Dalla vittoria simbolo di Bonaparte al furto d’arte più famoso: la Gioconda di Leonardo sottratta al Museo del Louvre di Parigi due anni prima, viene ritrovata a Firenze nel dicembre 1913. Il quadro, l’artista lo aveva dipinto nei primi anni del 1500, su richiesta del mercante Francesco Del Giocondo e raffigurava la moglie Lisa Gherardini, Monna Lisa, appunto. Ci impiegò due anni a realizzarlo ed anziché ai committenti, il capolavoro Leonardo lo portò in Francia: alla sua morte, La Gioconda finì nelle collezioni dei Re francesi, sino ad arrivare, nel tempo della Rivoluzione, nel Museo del Louvre. In quella straordinaria raccolta, un giorno del 1911, si recò un copista che voleva riprodurre proprio Monna Lisa. Vide i muro vuoto e del dipinto era rimasta soltanto la cornice. Considerato il valore dell’opera e il rigore dei controlli nella più insigne “custodia” d’arte di Francia, si parlò subito di furto del secolo. Le indagini andarono avanti a tentoni. Siccome i rapporti, al momento, erano alquanto tesi tra Parigi e Berlino, ci fu chi azzardò persino l’ipotesi di un “colpo di Stato” ordito dai tedeschi per screditare i rivali. Successe un putiferio con sospettati illustri: addirittura Picasso.
Tempo due anni ed ecco arrivare una lettera ad un antiquario fiorentino. Era firmata “Leonardo V.” e proponeva la riconsegna del quadro perché – così stava scritto – “un giorno fosse esposto alla Galleria degli Uffizi, al posto d’onore e per sempre”. Insieme al Direttore degli Uffizi, l’11 dicembre 1913, l’antiquario incontrò il misterioso “Leonardo V”, l’imbianchino e verniciatore italiano Vincenzo Peruggia (con due g), originario delle campagne di Varese. La polizia lo trasse subito in arresto e lui raccontò di aver lavorato al Louvre e quindi di conoscerne i segreti. Gli era bastato trascorrere una notte nascosto nel Museo, avvolgere la tela nel cappotto, per poi nasconderla dentro una valigia sotto il letto dell’alberghetto dove dimorava. Subì la condanna a poco più di un anno di carcere, ma apparve all’opinione pubblica come un simpatico istrione. La Gioconda fu ricollocata laddove era stata sottratta. La trasportarono a Parigi dentro un vagone speciale, accolta solennemente dalle autorità parigine, compreso il Presidente della Repubblica. La RAI, nel 1978, ha mandato in onda uno sceneggiato di successo, in tre puntate, per la regia di Renato Castellani, con Enzo Cerusico nella parte di Peruggia.
Ulysses Simpson Grant
Un’altra data storica: Dicembre 1865, entra in vigore, negli Stati Uniti, il XIII Emendamento della Costituzione che abolisce la schiavitù. Traguardo raggiunto al termine della Guerra di secessione (1861 – 1865) che oppose gli Stati Uniti del nord agli Stati Confederati del sud. Prevalse l’esercito nordista guidato dal generale Ulysses Grant, sull’altro del generale Robert Lee. Numerosi gli scontri ed alla fine furono calcolate perdite per circa 700.000 uomini. Lo scontro armato non ostacolò l’integrazione nazionale ed il processo di ricostruzione politica. Il “proclama” firmato dal Presidente Abraham Lincoln stabiliva: “Né la schiavitù, né il servizio non volontario … potranno esistere negli Stati Uniti e in qualsiasi luogo sottoposto alla loro giurisdizione”. Lo accettarono tutti e in quel 1865, almeno sul piano legale, ebbe termine un fenomeno di discriminazione violenta che aveva ridotto milioni di esseri umani ad un popolo di animali da fatica.
Ultimo dicembre, quello dell’anno 2020. E’ morto Donato Bilancia, 69 anni, genovese. Chi era costui? Era l’ergastolano più ergastolano d’Italia, un serial killer, riconosciuto autore di 17 omicidi, durante gli anni 1997 e 1998. Per elencarli tutti, corredati delle motivazioni, ci vuole spazio. Allora ne faccio soltanto l’elenco. Ha ucciso due biscazzieri, due titolari, marito e moglie, di una oreficeria, quattro metronotte, un cambiavalute, un benzinaio, tre prostitute, un transessuale. Sui treni, il “mostro della Liguria” ha assassinato altre tre persone con assoluta casualità. Unico indizio in mano agli inquirenti, la Mercedes bianca usata nel suo vagabondare omicida. Quella macchina fu la causa del suo arresto. E della pesante condanna: 17 omicidi, 13 ergastoli.