Le stime Istat sull’occupazione in valore assoluto forniscono segnali positivi per l’Umbria, come anche rivelato da un nostro servizio uscito qualche giorno fa su questa testata, ma dietro l’incremento dei posti di lavoro si nasconde ancora un dato qualitativamente controverso.
E’ quanto mette in risalto l’Ires Cgil dell’Umbria presieduta da Mario Bravi, che, sulla base dei dati dell’Osservatorio nazionale dell’Inps, sottolinea l’elevata incidenza della precarietà.
Secondo l’istituto di ricerca del sindacato, infatti, nel primo semestre 2018, «meno del 20 per cento delle assunzioni attivate sono state a tempo indeterminato, mentre oltre 1’80 per cento dei nuovi rapporti di lavoro avviati sono “poveri” e precari”».
I dati Istat relativi al secondo trimestre 2018 indicano un’occupazione di 358mila unità, con una crescita di 4mila addetti rispetto al trimestre precedente di un +5mila rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Una stima che si accompagna a quella sulla disoccupazione scesa a 35mila unità, pari al 14,9%, 8mila in meno rispetto al trimestre precedente, seimila in meno rispetto al secondo trimestre 2017.
«Per fare un’analisi completa e utile aggiunge Bravi occorre soffermarsi sui punti critici dell’occupazione in Umbria. La qualità del lavoro che si è ravvisata nel primo semestre dell’anno, infatti, è incentrata sulla precarietà e la provvisorietà. Prova ne è pure il dato sulle cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato che sono superiori alle attivazioni».
Dal mondo delle imprese, del resto, come testimonia l’ultima indagine Unioncamere Umbria su manifatturiero e commercio indica assunzioni stabili o in discesa da parte delle imprese, pur in presenza di dati positivi in termini di ordinativi, produzione e fatturato.
«Per consolidare la crescita dell’occupazione occorre puntare sui diritti del mondo del lavoro osserva Mario Bravi evitando il fenomeno crescente del “working poors”, ovvero di chi, pur lavorando, rimane povero».
Un fenomeno spiegato anche dal fatto che in Umbria il Pil per unità di lavoro resta al di sotto della media nazionale, collocandosi a quota 87,2% con un 12,8% rispetto al dato del Paese. «L’andamento del Pil complessivo, inoltre aggiunge il presidente dell’Ires Cgil Umbria alle condizioni date non è sufficiente a sostenere la necessaria qualità della crescita».
Tra il 2008 e il 2014, infatti, la regione ha perso il 17,1% del Pil, a fronte di un calo a livello nazionale dell’8,6%. «In seguito aggiunge Bravi dopo aver avuto un +2,6% nel 2015, la regione ha chiuso i due anni successivi in terreno negativo, con Svimez che per il 2017 stima un 1%». Stando alle stime Bankitalia, nel 2017 a fronte di un dato nazionale del +1,5%, l’Umbria segnerebbe un dato del +1,1 con gli operatori che per il 2018, nonostante un clima di maggiori incertezze, prefiguravano un’evoluzione positiva.
«Ma per consolidare certi segnali, compresi quelli dell’occupazione, ed evitare che restino una parentesi conclude Bravi occorre sciogliere i nodi riguardanti il lavoro e la sua precarietà».