Per cominciare va detto che in circa l’80% dei casi l’infezione da Coronavirus non dà sintomi, oppure si manifesta con disturbi variabili ma non tali da richiedere il ricovero. Nel restante 20% ci sono difficoltà respiratorie che richiedono assistenza in ospedale e nel 2 per cento circa del totale l’esito è fatale, evenienza che si verifica soprattutto in persone anziane o portatrici di altre patologie.
La malattia del Coronavirus si manifesta con la febbre e con la dispnea (difficoltà a respirare, presente nel 74% dei pazienti). La tosse riguarda il 44% dei casi, la diarrea il 7% e l’emottisi (vale a dire la perdita di sangue dalle vie respiratorie) il 4%.
Le complicanze più comuni sono l’insufficienza respiratoria (praticamente in tutti, visto che è stata segnalata nel 97,2% dei pazienti deceduti), miocardico acuto (l’nfarto, 10,8%) e sovrinfezione (10,2%).
Nella maggior parte dei casi, le infezioni da coronavirus presentano i sintomi classici osservati in occasione delle più comuni infezioni alle vie respiratorie, ossia:
- Naso chiuso e naso che cola;
- Tosse;
- Mal di gola;
- Febbre tra i 38°C e i 39°C;
- Infiammazione delle mucose nasali, della gola e dei bronchi;
- Cefalea;
- Perdita di appetito;
- Senso di malessere generale.
Meno dell’1% è senza patologie
Gli studi illustrano un altro dato significativo: quasi tutti coloro che sono morti avevano patologie precedenti, anche se, ovviamente, ciò non cambia di una virgola l’emergenza che stiamo affrontando.
“Solo lo 0,8% dei pazienti deceduti presentava zero patologie, il 25,1% ne aveva una, il 25,% ne aveva 2, il 48,5% ne aveva tre o più di tre”, spiegano dall’Istituto Superiore di Sanità.
Ma, esattamente, quali sono queste patologie pre-esistenti di coloro che hanno perso la battaglia contro il Covid-19?
La ricerca dell’Iss ha portato alla luce che il 76,6% aveva un’ipertensione arteriosa, al secondo posto ci sono i malati di diabete (35,5%), al terzo chi soffriva anche di cardiopatia ischemica (33%).
A seguire, il 24,5% con fibrillazione atriale, il 20,3% con un cancro negli ultimi cinque anni ed il 18% con insufficenza renale cronica.
Il rischio di polmonite da Coronavirus dunque è maggiore nelle persone anziane, nei soggetti malati di cuore e nelle persone con un sistema immunitario debole; tale rischio, inoltre, dipende anche dall’aggressività del coronavirus infettante.
Stando al numero di decessi rispetto ai casi di contagio confermati, l’OMS ritiene che il virus della COVID-19 abbia un tasso di letalità medio pari al 2,3% (va aumentando con l’età).
E il nostro Paese, soprattutto in alcune aree, ha contanto un elevato numero di anziani morti a causa del Covid-19, in proporzione più che in Cina, dove si sono registrati i primissimi casi. Secondo quanto riportato da La Stampa, però, il professor Raffaele Antonelli Incalzi, presidente della Società italiana di gerontologia e primario di Geriatria al campus biomedico di Roma, ha provato a dare una spiegazione al fenomeno, anche se non risulta del tutto chiaro.
La multimorbilità degli anziani
Tra i motivi che vedono gli anziani più esposti c’è la loro multimorbilità, cioè la compresenza di molteplici malattie croniche, che tra le persone di una certa età, in Italia, è piuttosto elevata. Ma secondo il professor Antonelli Incalzi a influire è anche la maggiore attenzione, nel nostro Paese, alla salute degli anziani: “Poiché sono generalmente più seguiti e tutelati, a fronte di malattie note e quindi più facilmente combattibili, ora che il nemico è l’ignoto coronavirus, gli anziani diventano molto più esposti e vulnerabili“.
Geni e inquinamento
Non è esclusa nemmeno una componente genetica, che rende la popolazione senile italiana più predisposta rispetto a quella cinese, ma l’attenzione, secondo quanto riportato dall’esperto, è da rivolgere anche all’inquinamento atmosferico. E in questo senso è l’Italia del nord la parte più colpita: “A parte la diffusione del virus per un contagio con effetto domino, la bassa pianura padana, lo scorso febbraio, ha registrato un livello di inquinamento atmosferico molto alto. L’esposizione all’aria inquinata non ha quindi favorito la ‘clearance mucociliare’, ossia le ciglia sull’epitelio dell’intero appartato respiratorio non hanno lavorato come avrebbero dovuto, non hanno cioè eliminato il muco che, anzi, è ristagnato e ha quindi favorito l’infezione“.
Il problema del fumo
E oltre ai geni, l’alto numero delle malattie e i fattori legati all’inquinamento, una parte rilevante, con questo virus, la sta giocando anche il fumo. “Tra i nostri anziani, ancorché con malattie croniche, c’è un elevato tasso di fumatori“, ha spieato il professore. Anche se, in termini di vulnerabilità, la variabilità è individuale, soprattutto in età avanzata. “La riserva omeostatica, ovvero la capacità di far fronte alle emergenze, cambia più facilmente da persona a persona. Però non bisogna disperarsi, non bisogna cedere al timore di non riuscire a guarire“, ha chiarito il medico. Che aggiunge: “In effetti, l’ideale è non ammalarsi, puntare sulla prevenzione“.
I consigli agli over 65
Come spiegato dallo specialista, esistono comunque dei suggerimenti per le persone che hanno superato i 65 anni di età: “Devono attenersi scrupolosamente alle regole: non uscire di casa, evitare categoricamente contatti sociali, disinfettare gli oggetti che ricevono nella propria abitazione, lavarsi spesso le mani. Se vivono insieme a figli o a nipoti devono mantenere da loro una distanza di almeno due metri, per contenere il pericolo“. E alla domanda se da anziani è possibile potenziare ancora il proprio sistema immunitario, Antonelli Incalzi ha dichiarato che non esistono terapie ad hoc per rafforzarlo, ma l’importante è anche “mangiare bene, in modo sano, seguendo una dieta di prodotti anti-ossidanti“.