Alberto Zangrillo, primario e direttore di Terapia Intensiva all’ospedale San Raffaele di Milano, che tanto scalpore ha suscitato quando giorni fa disse che “il coronavirus è clinicamente morto”, ora alza la posta. “Il lockdown è stato efficace, anche se drammatico per l’economia. Il distanziamento intelligente è una buona misura – spiega in un’intervista al Quotidiano Nazionale -. Ma se continueremo a comportarci bene, se seguiremo le norme igieniche che ben conosciamo, sono certo di una cosa: a fine mese, almeno all’aperto, faremo a meno delle mascherine”.
Sull’epidemia, spiega: “Basandomi sull’osservazione, già due mesi fa ho avuto la consapevolezza che stesse succedendo qualcosa”.
“Il Covid-19 c’è ancora, non è mutato, ma l’interazione virus-ospite non dà più la malattia. I tamponi più recenti hanno mostrato una carica virale di gran lunga attenuata rispetto ai prelievi di uno-due mesi fa”.
Il dottor Zangrillo dice ancora: “È ora di ribadire una cosa: un paziente positivo non è malato. E il numero giornaliero dei contagi non ingrossa la fila dei malati. Punto”.
La tesi di Alberto Zangrillo, tanto attaccato nelle scorse settimane, sembra trovare conferma nelle parole dell’infettivologo Matteo Bassetti, direttore della Clinica malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova.
In un post su Facebook, Bassetti ha spiegato che “la malattia da Sars-Cov-2 è oggi molto diversa da quella vista a marzo non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti e in Spagna. Come riportato dal quotidiano sudafricano SouthernTimes, anche i colleghi dell’Università di Pittsburg e dell’Arizona, oltre che di alcune università spagnole hanno osservato che il virus ha perso forza, è più debole e alcuni geni che c’erano all’inizio (probabilmente quelli che lo rendevano più aggressivo e letale) ora non ci sono più”. L’infettivologo si augura che adesso, dato che la tesi viene avanzata anche da medici stranieri e non solo da quelli italiani, anche i più scettici si convincano del fatto che il Covid-19 è realmente cambiato. In effetti è molto tempo che il direttore sostiene questa tesi, al pari del collega Zangrillo che era stato duramente attaccato per aver detto che adesso il virus clinicamente non esiste più.
Per quanto riguarda i tamponi e gli asintomatici, Bassetti ha sottolineato che non basta refertare le risposte dei tamponi naso-faringei o di ogni altro materiale testato solo differenziandoli come positivi o negativi. Sarebbe invece importante indicare anche la quantità di virus presente. Altrimenti i risultati potrebbero essere fuorvianti dal punto di vista infettivologico e quindi non utili allo studio. Si dovrebbe invece dare un numero o meglio, una quantificazione di quante particelle di virus vi sono e determinare una soglia. Al di sopra di questa il paziente può essere considerato contagioso. “In assenza del “quanto” rischiamo di commettere errori nell’isolamento di soggetti asintomatici positivi che potrebbe non essere necessario. D’altronde se il soggetto Hiv positivo con carica virale non rilevabile (ovvero bassissima o nulla) non trasmette l’infezione, probabilmente succederà lo stesso anche per Sars-Cov-2″ ha concluso Bassetti.
Dalla sua parte anche i numeri relativi a Genova e alla Liguria in generale, che sembrano confermare il fatto che il virus abbia perso la sua intensità. Non vi sono infatti più casi gravi che necessitano un ricovero, prova ne è che non ci sono nuovi ricoveri nei reparti di terapia intensiva. L’infettivologo ha però voluto sottolineare che, nonostante i numeri siano incoraggianti, non si deve abbassare la guardia. Distanziamento fisico, utilizzo della mascherina dove necessaria e pulizia delle mani sono ancora necessari.
In un altro post il professore scrive: “Sta continuando la rapida discesa dei casi ospedalizzati di Covid-19 sia in rianimazione che negli altri reparti, con numeri così bassi, che non si vedevano dai primi di marzo. Non dimentichiamoci che ciò che ha fatto giustamente paura al sistema sanitario italiano, in quei giorni di fine inverno, erano i ricoveri ospedalieri, fatti di casi di soggetti altamente sintomatici e gravi, che hanno continuato a crescere fino ai primi di aprile.I nuovi contagi degli ultimi giorni, fatti per lo più da asintomatici, preoccupano meno, molto meno, anche se devono avere ovviamente una giusta attenzione da parte del sistema di prevenzione.
I catastrofisti e i pessimisti, di cui l’Italia è stata ed è ancora piena, non saranno contenti di questi numeri. Io e molti miei colleghi, invece si. Non dimentichiamoci oltretutto, che questi numeri così incoraggianti, sia di malati veri che di asintomatici, sono quelli post riaperture (4 maggio-18 maggio- 3 giugno). Il temuto ed erroneamente profetizzato rimbalzo non c’è stato. Anche di questo ci rallegriamo. Per il futuro occorrerà valutare più attentamente e più criticamente la capacità di previsione dei vari modelli matematici e, forse, ascoltare di più i medici sul campo.
Direi buone notizie sul fronte delle cure per il Covid-19.
Il cortisone ha dimostrato di ridurre la mortalità del 30% nei pazienti ospedalizzati. Lo dimostrano i risultati dello studio inglese “Recovery” annunciati ieri alla stampa. Si tratta dello stesso studio che ha bocciato la clorochina, che è stata ritirata dal commercio anche da parte dell’Fda.
Buone notizie ulteriori anche su remdesivir che in un articolo pubblicato su Nature conferma che la sua somministrazione precoce possa ridurre il rischio di sviluppare una grave polmonite.
Noi a Genova li abbiamo iniziati ad utilizzare entrambi dal principio inserendoli nel nostro protocollo di cura. Ci eravamo accorti dell’importanza del cortisone e del remdesevir nelle fasi precoci della malattia. Ci avevamo visto lungo.
Io credo che non ci sarà una seconda ondata simile a quella di marzo, ma che dovremo imparare a convivere con il COVID ed essere pronti ad affrontare nuovi casi nel prossimo autunno.
Sapere di avere farmaci e presidi che funzionano, ci fa essere ancora più ottimisti”.