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You are at:Home » Coronavirus, “I raggi solari distruggono il Covid”
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Coronavirus, “I raggi solari distruggono il Covid”

RedazioneBy RedazioneMaggio 9, 2020Nessun commento5 Mins Read
 

“Il virus sopra i 30 gradi perde forza”. A rivelarlo è l’Autorità per la salute Russa Rospotrebnazor in un bollettino diffuso attraverso il canale di messaggistica istantanea Telegram nella giornata di venerdì 8 maggio 2020.

Poche righe ma che lasciano ben sperare circa un drastico calo dei contagi con l’arrivo della ‘bella stagione’. Stando a quanto si apprende dalla comunicazione diramata dal servizio federale responsabile della supervisione della protezione dei diritti dei consumatori e del benessere umano in Russia, il Covid-19 potrebbe avere le ore contate. Sebbene non siano stati rilevati i dettagli “dello studio approfondito” – questo è quanto recita fedelmente il testo del messaggio – i ricercatori russi sono certi che il patogeno diventerà meno aggressivo durante i mesi estivi. “Diventa completamente inattivo, o perde la sua capacità di causare la malattia, quando le temperature dell’aria sono superiori a 30 gradi sopra lo zero”, scrive Rospotrebnazor. “La bassa umidità e i raggi solari distruggono il virus – si legge nel bollettino -La bassa umidità e i raggi solari lo distruggono e muore del tutto ad una temperatura superiore ai 70 gradi centrigradi”.

 
 

Le previsioni dei ricercatori di Harvad e del Mit

Sullo stesso filone di quello russo, ma con risultati meno entusiasmanti, si pone anche uno studio elaborato da un team di ricercatori dell’Università di Harvad e del Mit pubblicato sul sito wbur.org. Gli scenziati hanno esaminato la diffusione globale del coronavirus da dicembre fino ad oggi e hanno scoperto che le condizioni meteorologiche fanno sì la differenza, ma non abbastanza da segnare un arresto significativo nella pandemia. “Vi è indubbiamente un impatto delle condizioni meteorologiche, in particolare della temperatura e dell’umidità, sulle velocità di trasmissione di COVID-19, – afferma Hazhir Rahmandad, professore associato di System Dynamics presso la MIT Sloan School of Management – ma questi effetti sono moderati. E quindi, non possiamo aspettarci che le condizioni meteorologiche, da sole, estinguano l’epidemia durante l’estate”. I risultati della ricerca hanno dimostrato come le condizioni meteorologiche – tra cui temperatura, luce solare e umidità – incidano sulla diffusione del coronavirus. Dall’analisi dei dati è emerso che su oltre 3.700 località del mondo le variabili meteorologiche erano correlate alla trasmissione del virus stimando che il rischio di trasmissione si abbassa circa dell’1,7%per ogni grado superiore a 77 gradi Fahrenheit. “Ciò suggerisce che molte zone temperate con un’alta densità di popolazione possono affrontare rischi maggiori, mentre alcune aree più calde del mondo potrebbero sperimentare velocità di trasmissione più lente. Questa scoperta potrebbe spiegare in parte le dimensioni minori di focolai nell’Asia meridionale e in Africa”, conclude il professor Hahir Rahmanad.


  Una tesi peraltro già espressa su questa testata dal dottor Enrico Secondari, internista presso l’ospedale di Foligno, che già qualche giorno fa avanzava l’ipotesi di aver presumibilmente scoperto la terapia per debellare il Coronavirus.
   Lui lo spiegava così: “Attualmente, se si esclude il supporto respiratorio e anestesiologico non vi è nessuna evidenza scientifica di una terapia efficace per il coronavirus. Non sono efficaci antibiotici. Non vi è nessuna evidenza scientifica, se non l’esperienza personale di qualche medico cinese, che il cocktail di farmaci antivirali possa avere una sua efficacia. E cosa dire degli immunosoppressori, farmaci comunque dai sicuri effetti collaterali per una malattia infettiva in cui l’unica difesa sta nell’efficienza del sistema immunitario, tra l’altro, difficilmente attivi in una malattia acuta?
   È giusto in questa fase fare dei tentativi, pur sapendo che probabilmente saranno vani. Anche se l’Oms, utilizzando tuttavia il condizionale, ha dichiarato che, verosimilmente, a differenza degli altri virus respiratori il covid 19 non dovrebbe essere sensibile al caldo estivo, molti virologi hanno affermato che è necessario aspettare l’estate per esserne sicuri. Ma perché attendere l’estate con 200 decessi al giorno in una Italia segregata in casa? A mio avviso tutti i tentativi sono leciti soprattutto quando privi di effetti collaterali.
   La mia proposta è la termoterapia. L’idea è quella di ricoverare una decina di pazienti volontari positivi al coronavirus e paucisintomatici in un reparto con una temperatura di 40 gradi e con la giusta umidità (?) ed eseguire a giorni alterni tamponi per valutare se si riduce il periodo di contagiosità, ovvero sei i tamponi si negativizzano in tempi brevi (es. 3 o 4 giorni).
Quindi se i risultati dovessero essere incoraggianti potremmo proseguire l’esperimento utilizzando pazienti con sintomi lievi, evitando all’inizio quelli già in fase avanzata di malattia o con febbre elevata. Perché non tentare? Il perché è chiaro. Per i medici esistono solo farmaci anche quando quasi sicuramente inefficaci, ma pur sempre dei farmaci. Provando questo esperimento, anche una risposta negativa sarebbe pur sempre una risposta che andrebbe a confermare quanto sospettato dall’Oms. Se invece, riproducendo il clima più afoso delle giornate estive all’interno di una struttura ospedaliera, scoprissimo che la termoterapia fosse realmente efficace e che quindi il caldo fosse realmente il tallone d’Achille di questo virus come, d’altra parte, lo è per la gran parte dei virus respiratori, allora aspettando l’estate avremo sulla coscienza tante vite umane e tutto il resto”.

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