Di E. Barbarossa. La notizia di cronaca è: “Con l’inizio della bella stagione, riprendono le traversate dalla Libia verso l’Italia“. La traduzione è: “Si ricomincia, già abbiamo i nostri problemi, ci mancano solo gli immigrati”. Il #coronavirus ci ha insegnato la solidarietà, la fratellanza, la collaborazione…purché non si tratti di individui (non si riesce a pronunciare la parola “persone”) che arrivano dal mare con i barconi.
Non è cambiato l’animo umano, non è cambiata l’idea di “umanità” che ci siamo costruiti, continua ad esserci un pensiero che rende gli uomini differenti e dunque indegni della stessa sorte. Del resto, questa epidemia ha affermato il primato della persona nel pieno della vita, sulla persona più fragile, sia essa anziana, disabile, immigrata, senza dimora,…se proprio si deve scegliere chi tutelare e chi no. Ci siamo davvero assuefatti ai crimini contro l’umanità?
Eppure nel giorno di Pasqua ancora una volta Papa Francesco ha urlato: “Non è questo il tempo dell’indifferenza, non è questo il tempo degli egoismi”. E poi ha puntato dritto contro uno dei grandi problemi che sono alla fonte delle migrazioni: la politica coloniale degli Stati occidentali che affama tanti Paesi nel mondo e che hanno generato un debito di questi ultimi verso i primi, un debito che si aggrava sempre di più, che fa aumentare la miseria in questi paesi, che genera conflitti, che spinge a migrare.
“La crisi che stiamo affrontando non ci faccia dimenticare tante altre emergenze”, prosegue il Papa citando la crisi in Mozambico e menzionando i migranti, i rifugiati e gli sfollati: molti sono bambini, “che vivono in condizioni insopportabili, specialmente in Libia e al confine tra Grecia e Turchia”. “Non vorrei dimenticare l’isola di Lesbo”, aggiunge a braccio. Infine, l’auspicio di giungere in Venezuela a “soluzioni concrete e immediate” che aiutino la popolazione. “Indifferenza, egoismo, divisione, dimenticanza non sono davvero le parole che vogliamo sentire in questo tempo”, conclude Francesco.
Di fronte a questo appello forte, di fronte alla ripresa delle traversate nel mar Mediterraneo, la risposta del mondo occidentale torna ad essere immorale, criminale e non certo solidale.
Il pensiero va esclusivamente al fatto che si tratta di individui che possono portare il contagio, così come è avvenuto per il quindicenne ospite a Pozzallo. Non pensiamo che, nonostante il pericolo del nostro contagio, queste persone affrontano il rischio della traversata, pur di lasciare la condizione di schiavitù in cui si trovano.
Così si spiega l’affrettato decreto interministeriale redatto dal Ministro delle Infrastrutture, Ministro degli Esteri, Ministro dell’Interno e Ministro della Salute con cui si vieta l’ingresso delle navi delle Ong nelle acque territoriali italiane, un decreto che, pur citando tutte le norme internazionali, le nega con un approccio contrario ad ogni diritto per queste persone già cosi provate
Tra le convenzioni citate dal decreto c’è in particolare la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare: “Viene citata soltanto una parte dell’articolo 19, quella che prevede che un paese può qualificare come offensivo il passaggio di una nave nelle proprie acque territoriali, peccato che non citi la seconda parte dell’articolo 19 che prevede invece che non possa considerarsi offensivo il passaggio di una nave che abbia fatto un soccorso in acque internazionali né vengono considerate le convenzioni SAR di Amburgo del 1979 che invece sono state richiamate di recente dalla Corte di Cassazioneper ribadire l’obbligo degli Stati a completamento delle operazioni di soccorso, ovunque siano cominciate, non solo nella zona Sar Italiana, e comunque di concedere un porto di sbarco, fermo poi il diritto degli Stati di espellere gli immigrati irregolari e di valutare dal punto di vista della responsabilità penale le posizioni dell’equipaggio e del comandante delle navi”.
Confesso che la lettura del decreto mi ha angosciato, proprio durante la pandemia e mentre celebriamo la Pasqua, che significa liberazione dalle schiavitù della storia, scegliamo di lasciare nostri fratelli, persone come noi in mezzo al mare.
Non abbiamo il diritto di rimanere indifferenti, abbiamo il dovere di essere solidali. Se dichiariamo ogni giorno di voler cambiare il mondo, occorre che intanto cambiamo la storia del mondo, quella in cui si leggerà in futuro che abbiamo scelto di voltarci dall’altra parte per non vedere la sofferenza negli occhi del fratello.
Fonte interris.it