di Adriano Marinensi – Una notizia di cronaca per raccontare una grande storia. Gli albori della storia che ha legato Terni all’energia elettrica. L’informazione recente ci ha fatto sapere che la Centrale di Galleto, a due passi dalla Cascata delle Marmore, ha cambiato proprietario : è passata dalla tedesca E. ON. alla ERG della famiglia italiana Garrone. Il futuro ci dirà se è stato un evento positivo per il territorio.
Stiamo parlando del primo “gioiello” del “tesoro” idroelettrico appartenuto alla “Soc. Terni” che, non per caso, nella sua ragione sociale aveva, insieme all’industria, il termine elettricità. Quando fu inaugurato, nel 1929, l’impianto di Galleto lo presentarono come un’opera importante e complessa, una impresa fatta di tecnica e di lavoro. Modesta comunque al confronto di quanto, la stessa Soc. Terni riuscì a realizzare alla fine degli anni ’30 del secolo scorso : i colossali bacini del Salto e del Turano e la Centrale di Cotilia. Alla base di tutto stava l’idea dell’ing. Guido Rimini di bonificare la piana reatina non più facendo defluire le acque attraverso il “taglio” delle Marmore, bensì sbarrare i fiumi Salto e Turano (affluenti del Velino, tra la Sabina e l’Abruzzo) nelle gole montane, con poderose dighe, creando bacini di carico per nuove centrali a valle.
Siamo nel 1928 e il Consorzio del Velino redige lo schema di progetto che prevede le dighe, quella del Salto alle Balze di S. Lucia e del Turano alle Gole di Posticciola. Nel 1931, i due bacini vengono inseriti tra le opere di primaria necessità. I progetti sono presentati, in forma definitiva, nel 1937. Altri impianti sono previsti nel bacino del Vomano, con un enorme serbatoio a Campotosto. Sta per iniziare un’ epoca strategica per lo sviluppo industriale dell’Umbria e della Sabina. A dare una spinta, la politica autarchica del regime che guardava con interesse alle fonti di energia fatte in casa. Seppure l’elaborato tecnico esecutivo sia del 1938, si comincia a lavorare già nel 1935 al Turano.
Proprio quella anticipazione dei lavori innesca una furibonda mischia tra il Consorzio del Velino (Soc. Terni) e il Principe Potenziani, proprietario terriero e Presidente del Consorzio di bonifica della Piana reatina. Lo affiancano nell’azione una miriade di soggetti pubblici e privati. Nella disputa viene chiamato in causa persino Mussolini, Capo del Governo. I reatini hanno un doppio timore che gli interventi già effettuati sul fiume Velino per la centrale di Galleto (tra l’altro l’innalzamento di livello del Lago di Piediluco) e quanto si sta realizzando tra le montagne possano danneggiare gravemente l’economia agricola del territorio vallivo. Sollevano in aggiunta il dissesto ambientale creato dalle nuove strade di cantiere. Chiedono innanzitutto indennizzi da parte della Soc. Terni per i danni già arrecati e la sospensione dei lavori del Salto e Turano. Si va avanti sino al dopoguerra quando tutte le opposizioni saranno respinte.
Lassù, nelle gole impervie, si lavora alacremente. Molto complessa è l’organizzazione dei cantieri, sia per l’ubicazione, sia per la dimensione dei manufatti in progetto. Occorre creare alloggi per gran parte delle maestranze. Nasce ex novo un Villaggio munito di una miriade di servizi, mense, dormitori, infermerie, medici, locali dopolavoro, compresa una Cappella dedicata al culto di S. Barbara, protettrice dei minatori. Poi i magazzini, l’approvvigionamento dei materiali e dei macchinari, le polveriere per la custodia degli esplosivi da cava. Insomma, una operazione gigantesca, doppia nel due enormi luoghi di lavoro. C’erano da costruire 50 km. di gallerie e altrettanti di strade e provvedere alla ricostruzione dei 4 paesi del Cicolano, sommersi dalle acque. Costruire ponti, deviare il corso dei fiumi, soprattutto erigere sbarramenti colossali. Quello del Salto con i suoi 104 metri di altezza e 97 alla base, risultava il primo in Europa. I numeri alla fine parleranno da soli. Furono spostati 2 milioni di metri cubi di materiale, impastati un milione di mc. di calcestruzzo, impiegata una quantità straordinaria di cemento, ferro, acciaio e persino legno per l’armatura delle gallerie e l’impalcatura delle dighe.
All’inizio dei lavori (1935), era in progetto un serbatoio del Turano capace di 163 milioni di metri cubi di acqua, una diga alta 75 metri e un invaso lungo 7 km; per il Salto, 266 milioni di mc, diga di 104 metri, invaso di 14 km. Due le centrali progettate. Poi, si decise di farne una sola a Cotilia, dopo che i bacini di carico erano diventati comunicanti mediante un tunnel lungo 9 km. Il collegamento con la centrale fu realizzato attraverso una condotta forzata di quasi 12 km.
Grandi numeri pure per la manodopera impiegata: 3000 operai per il Turano, 4000 per il Salto, 1000 per la Centrale di Cotilia, 6 milioni di giornate lavorative in 3 anni. Una massa di lavoratori venuti per metà da molto lontano (Friuli, Veneto, Trentino, Bergamasco), con evidenti problemi di socializzazione e di direzione tecnica. Si lavorava a ciclo integrale, di giorno e di notte, a ritmi sostenuti e buone paghe. Richiesti soprattutto i bravi carpentieri che, nelle gallerie, si dividevano in “marciavanti” e “imboscatori”. Importante l’opera dei minatori e persino dei “bocia”, i giovanissimi portatori d’acqua e addetti alle piccole incombenze di supporto. I molti lavoratori che alloggiavano in affitto nei paesi vicini ai cantieri, avevano fatto aumentare le attività commerciali e, in una certa misura, modificato i costumi di vita delle genti di montagna.
Nel dicembre 1939, ha avuto luogo la cerimonia inaugurale e dato avvio al riempimento dei due laghi artificiali con la chiusura delle paratoie stagne. L’immane opera – che aveva richiesto il sacrificio della vita di 25 operai e un elevato numero di infortunati – s’era compiuta in poco tempo ed aveva dotato l’Italia centrale e soprattutto l’Umbria e la Sabina, di una elevata capacità di produzione energetica. Gli anni successivi portarono altri impianti al patrimonio della “Soc. Terni” che, quando venne “espropriata” del suo “tesoro”, a seguito della nazionalizzazione (1962), trasferì all’ENEL, oltre a Galleto e Cotilia, Monte Argento, Corbara, Montorio al Vomano, Nera Montoro, Penna Rossa, Posta, Preci e Provvidenza, Recentino, S. Giacomo e Triponzo. Gli indennizzi famosi se li prese la Finsider ed alla “Terni” – ormai solo “per l’industria” e non più “per l’elettricità” – rimase il “contentino” della tariffa agevolata venticinquennale per l’Acciaieria. Come dire, un piatto di lenticchie in cambio di una primogenitura, detenuta in ragione del suo primato nel settore della produzione di energia pulita, conquistato con il lavoro, l’ingegno ed il sacrificio. Quella prevaricazione fu una sconfitta pure per la politica e la democrazia.