Due violoncelli in dialogo e un pianista di lusso negli ultimi due concerti del festival che la marchesa Marzia Zacchia promuove in collaborazione con l’amministrazione comunale a palazzo della Corgna a Castiglione del Lago.
Sotto i tendaggi che hanno risolto la funzionalità acustica del teatrino si attende ora che una adeguata illuminazione possa togliere dalle ombre gli esecutori, ma si dice che sia in atto anche il progetto di “scorticare” il pavimento dall’attuale rivestimento per riportarlo al cotto originario. Insomma si può pensare che la prossima edizione del festival avrà una sede degna del palazzo storico che la ospita, una dimora sontuosa che ricorda i fasti di un ducato tra i più prestigiosi della storia umbra.
Non si dimentichi che i Della Corgna sono anche gli artefici della edificazione della villa di Colle del Cardinale, luogo di delizie, una “Schifanoia” del territorio perugino che poi, nel corso dei secoli, si è arricchita di emergenze culturali molteplici che sfoceranno, agli inizi del secolo scorso, nell’ospitalità concessa ai poeti della Ronda.
Il ritorno dei due violoncellisti già ascoltati lo scorso anno, Francesco Bartoletti e Giacomo Grandi, ha confermato la qualità di una proposta originale che richiede adattamenti di repertorio e genialità di stesure per coprire lo spazio di una serata. Conferme di scelte stimolanti, come gli iniziali duetti e capricci di Giovanni Battista Cirri e di Joseph Dall’Abaco, maestri del violoncello settecentesco, contrappuntati dalla Sonata in mi minore di Vivaldi che conserva la vibrante emozione dell’originale per viole da gamba. Il percorso della serata si è articolato in seguito sulla versione pregevole e stimolante di un duetto di Offenbach, di un adattamento di una tesissima pagina di Ligeti e di un Bach sulla quarta corda in versione multipla, dall’originale al jazz.
La sera seguente, e siamo a martedì, è entrato in pedana un aitante pianista trentino che, nelle sue fattezze racchiudeva l’immagine di un giovane principe Cimbro e di un aristocratico di casa Hohenstaufen. Alberto Nones, pianista laureato il filosofia a Bologna, master di economia a Londra, dottorato di ricerca all’Università di Trento è indubbiamente un personaggio di singolare caratura. Quando si è seduto al Petrov del palazzo ducale, strumento quanto mai impervio, ha dimostrato subito di saper domare la difficile tastiera. Sistemata la prospettiva timbrica, il giovane maestro trentino ha voluto renderci partecipi di una sua visione particolare del repertorio chopiniano, un gioco elegante e formalmente impeccabile di mazurke della op. 30 e dell’op. 50 e di Fantasie, in particolare della Polonaise- fantasia, un piccolo percorso etico dell’estetica chopiniana. Con un nitore e una chiarezza trasparente Nones ha percorso i fremiti della danza nazionale polacca traendone risonanze storiche e presenze culturali di spessore. Ma soprattutto emergeva quel senso di eleganza che probabilmente il musicista ospite ha ereditato da alcuni dei suoi maestri, Ciccolini in particolare e Franco Scala, riconosciuto creatore di talenti. Chi, assecondando la dizione di Nones accettava di farsi trascinare nel vortice spesso enigmatico della musica di Chopin poteva forse rendersi ragione di una frase arcana di un celebre romanzo di Pavese: “il bosco danzava Chopin”, emblematica di una tensione drammatica che emerge sempre quando un pianista intelligente accetti di leggere la musica del grande polacco al disotto della sua patina salottiera.
Nones ha da poco completato la sua versione discografica delle mazurke di Chopin, un monumentale diario di emozioni e di ricordi con cui il maestro polacco ha saputo raccontare la sua vita. Ma l’integrale delle danze nella sua complessità è rebus borgesiano, un minuscolo aleph da cui scaturisce la complessità di un mondo. Quando ascolteremo questa impresa di Nones forse saremo arricchiti di qualcosa.
Stefano Ragni