Le ragioni ideologiche della rubrica, che presenta una rassegna di contributi scientifici firmati da studiosi afferenti alla Sezione Interdisciplinare di Disegno e Architettura del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università degli Studi di Perugia e concernenti tanto i progettisti quanto le opere più significative realizzate nella nostra regione durante il XX secolo, derivano da questa semplice considerazione.
Che è ampiamente condivisa a livello nazionale, ma che rimane tuttora pressoché inedita a livello locale.
Paolo Belardi
Luca Martini – Carlo Cucchia è un esempio paradigmatico di progettista che opera nel periodo tra le due guerre in Umbria, dove la dittatura fascista impone alla regione un’immagine codificata, per lo più tradizionale, verde e medievale, a scapito dei principi dell’architettura razionalista che nello stesso periodo vanno affermandosi in Italia e in Europa. In tale contesto Cucchia si diploma nel 1918 al Regio Istituto Tecnico di Perugia e si laurea nel 1924 presso il Politecnico di Torino in Ingegneria Industriale Elettrotecnica.
Terminati gli studi apre uno studio professionale a Perugia e, nel primo decennio della sua carriera, si occupa principalmente di opere di ingegneria quali manufatti per la regolazione dei corsi d’acqua, acquedotti e centrali idroelettriche. Durante la sua attività professionale progetta anche opere stradali, in particolare in Albania per il Genio Militare negli anni che precedono il secondo conflitto mondiale e durante lo stesso. Al suo ritorno in patria è consigliere dell’Ordine degli Ingegneri di Perugia (1945-1951) e consigliere comunale (1952-1956), partecipando così a diverse commissioni tecniche in seno all’Amministrazione.
Tale attività, a partire dalla metà degli anni trenta, è accompagnata da un fervido impegno nella progettazione architettonica. Nel 1933 partecipa al concorso per il nuovo palazzo di Giustizia di Perugia, dove adotta uno stile monumentale, ma privo di eccessi decorativi. Negli stessi anni, tra il 1930 e il 1935, progetta e realizza il complesso residenziale di via Dalmazio Birago per l’Istituto Autonomo Case Popolari di Perugia.
Tra il 1934 e il 1936 Cucchia disegna alcuni villini in stile liberty e nel 1936 il teatrino ricreatorio Bonucci a Ponte Felcino (Pg), che segna un momento di passaggio importante nella poetica del progettista umbro. L’edificio presenta ancora una certa monumentalità suggerita dalla tripartizione verticale della facciata, ma allo stesso tempo l’apparato decorativo è ridotto al minimo (laddove una cornice lapidea disegna le bucature e il coronamento della facciata) e non presenta motivi classici. Al contrario la composizione enfatizza il volume parallelepipedo e scompone la facciata in rettangoli piani. Tale configurazione è caratterizzata dalle bucature raccolte nella fascia centrale ed è ordinata dalla pensilina che in prospetto è un segmento rettilineo e in pianta un ulteriore rettangolo che secondo l’intenzione del progettista avrebbe dovuto avere gli spigoli esterni arrotondati.
Tra il 1936 e il 1938 sulla scia di questa sperimentazione ispirata al linguaggio moderno Cucchia idea una serie di edifici residenziali. In particolare negli interventi su via Pompeo Pellini, su via Fratelli Pellas e su piazzale Bellucci (di fronte alla stazione di Sant’Anna) a Perugia si osserva una tendenza ad adottare forme geometriche semplici, anche attraverso l’esaltazione della linearità mediante parapetti continui (che riecheggiano quelli delle navi da crociera), coperture piane e superfici a sbalzo, abbinata all’aumento delle bucature, che tendono ad assumere una forma quadrata.
Il progetto per i padiglioni dell’ampliamento dell’ospedale Santa Maria della Misericordia del 1936 è emblematico nello studio del percorso professionale dell’ingegnere umbro. L’intervento è concepito per la partecipazione al concorso nazionale per la progettazione del nuovo policlinico di Perugia espletato nel 1934, di cui Cucchia risulta vincitore. I nuovi padiglioni sono ideati per innestarsi nell’impianto esistente, opera di Riccardo Haupt e Domingo Tablò, ed esprimono evidentemente un carattere funzionalista, laddove non è previsto alcun tipo di decorazione e le facciate sono scandite dall’alternarsi dei pieni delle murature intonacate e dei vuoti delle bucature regolari. Tali scelte identificano sia l’edificio destinato all’isolamento dei degenti del reparto Malattie Infettive che ha una pianta semicircolare, che i padiglioni cosiddetti I e H, ad andamento lineare.
Tra questi ultimi è posizionata la cappella per i malati “Salus Infirmorum”, che l’ingegnere perugino prevede anche se non indicata specificatamente nel bando di concorso. L’edificio esprime a sua volta l’estetica “minimalista” di Cucchia: esteriormente è caratterizzato dalla facciata curvilinea e, soprattutto, dalla grande cupola semicircolare che sovrasta l’aula a pianta circolare; interiormente è impreziosito dagli arredi disegnati dallo stesso Cucchia e, soprattutto, dagli affreschi affidati a Gerardo Dottori. Qui il maestro futurista reinterpreta in chiave contemporanea il repertorio iconografico classico, e raffigura Maria che accoglie i malati e i santi che curano i bisognosi attraverso i colori netti, le forme stereometriche e il paesaggio semplificato propri del movimento artistico cui appartiene.
La cappella è l’unico degli edifici progettati da Cucchia che verrà preservato nel programma edificatorio della nuova Monteluce (che verrà realizzato nei prossimi anni), anticipato dalle tavole sfavillanti di un concorso a inviti nel 2006 a cui hanno partecipato i progettisti più affermati della scena internazionale e che ha visto vincitore lo studio tedesco Bolles+Wilson. Anche in tale contesto, il funzionalismo inclusivista di Cucchia e il futurismo ricercato di Dottori rappresenteranno un vero e proprio modello di ricerca progettuale e di sostenibilità culturale.