La Corte di Cassazione ha confermato, lo scorso 11 dicembre, la sentenza di secondo grado con cui la Corte d’Assise di Appello di Perugia aveva condannato un 47 enne di origini albanesi alla pena di anni 7 e mesi 6 di reclusione.
Durante la notte, i militari dell’Aliquota Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Assisi, che avevano condotto le indagini, in esecuzione dell’ordine di carcerazione emessi dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Firenze, hanno tratto in arresto l’uomo.
L’indagine era partita il giorno di Natale del 2009. I militari dell’Arma avevano, nell’occasione, liberato due giovani donne e individuato i presunti membri dell’organizzazione criminale. Le due ragazze liberate erano venute in Italia accomunate dallo stesso destino, allettate dalla promessa di un lavoro serio ed onesto, come sarte, presso un noto atelier di moda, ma entrambe erano finite, invece, per strada a prostituirsi.
I Carabinieri della Compagnia di Assisi avevano prima liberato una ragazza rumena dal giogo dei suoi “protettori” e un mese avevano arrestato quattro componenti della banda rumeno – albanese.
La complessa e minuziosa attività investigativa, durata quasi due anni,ha permesso ai Carabinieri di ricostruire il “modus operandi” dell’organizzazione e di liberare la seconda ragazza. Le donne arrivavano in Italia con il biglietto aereo pagato, dietro promessa di un impiego presso l’atelier, ma la realtà era ben diversa: ad attenderle non c’erano ago, filo e macchina da cucire, ma solo i marciapiedi perugini.
Nel corso della prima operazione del 2009, erano state arrestate quattro persone, più altre due che si erano rese latitanti all’epoca dei primi arresti ma, grazie al mandato di arresto europeo e la collaborazione dell’Interpol, sono stati rintracciati ed arrestati nel dicembre 2010 in Romania e in Slovenia per poi essere estradati in Italia.
Nel luglio 2011, con un blitz, i militari dell’Arma avevano messo le manette ai polsi ai tre presunti capi dell’organizzazione criminosa tra cui il 47enne albanese. Le ipotesi di accusa per il trio variavano dalla riduzione in schiavitù e tratta di esseri umani, alla violenza sessuale aggravata, passando per l’estorsione (le due prostitute dovevano infatti pagare almeno trenta euro al giorno di “rimborso” ai membri del sodalizio), al favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione. Inoltre, le ragazze venivano sottoposte ad ogni tipo di sopruso fisico e mentale, che spaziava dalle violenze vere e proprie, alle minacce di ritorsioni sui parenti rimasti in patria, in caso di comportamenti non consoni alle regole stabilite dall’organizzazione.
Il 27 marzo 2019, la Corte d’Assise d’Appello di Perugia ha confermato la sentenza del 2016, convalidando le condanne pesantissime per tutti i componenti del sodalizio con pene dai 5 anni e sei mesi, agli 11 anni e sei mesi di reclusione, riconoscendo anche, al Comune di Perugia, che si costituì da subito parte civile nel processo, il danno di immagine oltre a quello economico derivante dai reati di riduzione in schiavitù, tratta di esseri umani e sfruttamento della prostituzione imputati ai cittadini rumeni e albanesi condannati.
Le ragazze sono state ospitate in una struttura comunale, nell’ambito del progetto “Free woman”.
Anche la Suprema Corte ha riconosciuto all’Ente un risarcimento sia a titolo di danno d’immagine e sia a titolo di danno economico diretto. Ora l’uomo arrestato si trova presso il carcere di Capanne dove sconterà la sua pena di 7 anni e sei mesi.