La madre di un 46enne, deceduto nel 2018 presso l’ospedale Santa Maria della Misericordia a Perugia in seguito ad un delicato intervento oncologico, ha sporto una nuova denuncia che ha portato alla riapertura del caso, inizialmente archiviato dal sostituto procuratore Massimo Casucci.
Dal 2018, anno della scomparsa del 46enne, la madre, assistita dall’avvocato Luca Gentili, ha sporto due denunce, la prima quando il figlio era ancora in vita, anche se già in gravi condizioni, dopo un primo intervento eseguito a marzo dello stesso anno. L’intervento consisteva in una delicata asportazione di adenocarcinoma gastrointestinale in stadio avanzato, “laddove – come ha affermato la difesa della vittima – tutte le linee guida davano indicazioni secondo le quali l’asportazione chirurgica avrebbe dovuto limitarsi ai soli casi di neoplasie limitate agli strati superficiali mentre in questo caso sarebbe stato assolutamente necessario ricorrere alla chemioterapia con finalità di ridurla così da renderla asportabile con maggiori chanche di radicalità. Per di più l’equipe di chirurgia avrebbe proceduto addirittura senza un necessario consulto multidisciplinare non interpellando neppure l’oncologo”.
L’uomo era deceduto 7 mesi dopo una seconda operazione e una lunga degenza presso il reparto di terapia intensiva. Il 46enne era stato poi colpito da un’infenzione batterica, per poi essere dimesso per poco tempo. Il caso era stato archiviato, non ravvisando profili di negligenza nelle azioni dei medici di chirurgia d’urgenza dell’ospedale perugino, inizialmente indagati per omicidio colposo.
Tuttavia la madre della vittima si è opposta a questa decisione e, pochi giorni fa, il gip Lidia Brutti ha riaperto le indagini, da terminare entro 4 mesi.
Il giudice per le indagini preliminari ha dichiarato che: “Alla luce delle osservazioni del consulente della difesa che non appaiono prive di fondamento, appare necessario un approfondimento tecnico delle questioni sollevate, al fine di chiarire se siano individuabili nell’operato dei sanitari, condotte caratterizzate da imprudenza, omissioni, disattenzioni o errori, e, se si, se tali condotte abbiano avuto rilevanza causale nel caso in esame, determinando con alta probabilità logica una significativa riduzione della sopravvivenza del paziente (posto che appare pacifico che la grave forma tumorale non fosse curabile o quantomeno, un ingiustificato e grave incremento delle sue sofferenze nel periodo di sopravvivenza”.