Perugia, anziana facoltosa derubata dai familiari, condannato il genero.
Lo riporta oggi Il Corriere dell’Umbria, che riferisce quanto segue: “Quando andai a sentirla a casa era a letto, senza potersi muovere, disse che non si fidava della donna che aveva adottato mentre suo marito era ancora in vita e che in precedenza era stata la loro colf. Disse che le aveva tolto tutto. Viveva in condizioni spartane”, aveva testimoniato in udienza nel corso del dibattimento un militare della finanza che effettuò gli accertamenti patrimoniali quando la 90enne perugina riuscì a sporgere denuncia contro la figlia, adottata all’età di circa 50 anni dopo essere stata per anni una collaboratrice premurosa dell’anziana e del marito.
La donna aveva iniziato a frequentarli negli anni ‘90, data la perdita della loro unica figlia, e non avendo nessun altro che si occupasse di loro, i coniugi avevano deciso di lasciarle tutto in eredità. “Ci convinse ad adottarla perché così nessun nipote avrebbe potuto accampare pretese”, aveva denunciato l’anziana. Poi il marito morì e la donna da “figlia premurosa” “cambia radicalmente atteggiamento” trasferendosi ad Udine, non rispettando l’onere di assistenza e convivenza con la madre e la zia, come disposto nel 2006 nella donazione di un immobile di Perugia. Due anni dopo muore anche la zia, e quattro giorni dopo il lutto, l’anziana firma una procura generale alla figlia. “Approfittando della procura generale conferitale dalla madre su sua induzione – ha scritto il giudice del tribunale civile, Stefania Monaldi – ha posto in essere nel corso degli anni una molteplicità di atti tesi a far transitare l’intera ricchezza dell’anziana disponente (compresa quella della sorella deceduta) in favore proprio e dei propri stretti familiari”. In tutto si tratta di un milione e cento mila euro circa: una cifra astronomica, drenata da conti correnti dell’anziana, incassata dal riscatto di polizze sulla vita e dalla vendita di terreni. La stessa cifra che il giudice civile l’ha condannata a restituire alla mamma, ma che la cinquantenne non ha più perché ha investito nell’acquisto di immobili e terreni che risultano intestati ai suoi familiari. E in quanto come lei legati da parentela alla parte offesa, non imputabili penalmente. O almeno questo sembrava sarebbe accaduto fino a ieri. Quando cioè, non solo il giudice monocratico, Loretta Internò, ha condannato il compagno della donna (non essendo legato da vincoli di parentela era imputabile) ma ha anche disposto la trasmissione degli atti in Procura per valutare nuovamente l’eventuale imputabilità della figlia adottiva che, secondo una certa giurisprudenza, non gode di alcuna scriminante perché adottata da maggiorenne. Insomma ieri mattina, l’imputato è stato condannato a nove mesi di reclusione (pena sospesa) perché, “in concorso con la donna non imputabile perché figlia, di essersi appropriato di somme di cui lei disponeva in virtù del vincolo di discendenza e della procura generale conferitale dalla persona offesa”. L’anziana donna ormai deceduta nelle more del procedimento, quando stava per essere buttata fuori dalla casa che aveva donato alla figlia adottiva, chiese alla badante di trovarle l’avvocato che ancora rappresenta i suoi voleri e i suoi eredi, Donatella Donati. E il legale, ora dice: “La sentenza riconosce le ragioni denunciate della povera anziana signora e mette un punto fermo, finalmente, verso l’accertamento delle responsabilità penali dei protagonisti di questa triste vicenda”.