di Adriano Marinensi – I 27 Paesi che, a Roma, hanno testimoniato la ferma volontà di proseguire lungo la strada dell’Unità europea, sono il segno di un obiettivo ormai ineludibile, che deve mirare – ogni atteggiamento scissionista rimosso – alla definitiva creazione degli Stati Uniti d’Europa. Roma scelta non per caso, ma per sottolineare la straordinaria importanza di quella “prima pietra” posta 60 anni fa. Di quell’evento, i giovani ne avranno sentito parlare a scuola. Ammesso e non concesso che, tra i banchi, si parli di storia moderna al pari di quella antica, che sa di cultura, poco di vita. Di certo, dal 1987 in avanti, avranno discusso del “Progetto Erasmus”, il programma di libera mobilità tra le Università del nostro continente.
Nel documento, firmato in Campidoglio nel 1957 (per l’Italia, da Antonio Segni, Presidente del Consiglio e da Gaetano Martino Ministro degli Esteri), sta scritto che i 6 Paesi aderenti erano “determinati a porre le fondamenta di una unione sempre più stretta fra i popoli europei e rafforzare le difese della pace e della libertà”. Vorrei anche ricordare ai giovani di oggi che, tra i fondatori dell’Europa e dell’Italia democratica – senza più, per gli studenti, il sabato in divisa e i saggi ginnici – c’è un Uomo di Stato che si chiama Alcide De Gasperi, il “mattatore” degli anni difficili del dopoguerra, il “capomastro” che ha diretto, con la mano dello stratega illuminato, la ricostruzione del nostro Paese. A lui, a Robert Schuman, a Konrad Adenauer, insieme a Jean Monnet e Henri Spaak – ispirati dal “Manifesto di Ventotene”, scritto, nel 1944, da Altiero Spinelli – nacque l’idea di nuovi rapporti tra gli Stati, in grado di assicurare un periodo di sviluppo economico, di concordia politica.
L’Italia era uscita dal conflitto e dall’alleanza con la Germania, a seguito del cosiddetto “armistizio corto”, firmato a Cassibile, vicino Siracusa, il 3 settembre 1943, dal generale Castellano e reso noto da Pietro Badoglio la sera del giorno 8, attraverso i microfoni dell’EIAR, la RAI di allora. Fu ARMISTIZIO, come scrisse, in prima pagina, il Corriere della Sera. Non la pace. Perché, di li a pochi giorni scattò l’ “Operazione Achse”, concepita da Hitler sin dalla caduta di Mussolini e realizzata con l’invasione armata dell’esercito nazista della penisola, che dette inizio ad un periodo di massacri e, più avanti, dopo la costituzione della Repubblica neofascista di Salò, alla guerra civile.
ln Italia, De Gasperi fu il demiurgo di un altro storico passaggio del Rubicone. C’era da ridare dignità al Paese, trarlo da sotto le macerie, gestire la difficile transizione dalla dittatura alla democrazia e dalla Monarchia alla Repubblica. Un impegno titanico, appesantito dall’antagonismo tra il partito dei cattolici e il fronte popolare, arcigna alleanza di sinistra. C’era inoltre da affrontare, come nazione vinta, il confronto con i vincitori, compito che De Gasperi seppe affrontare con orgoglio morale e prestigio politico, meritando il rispetto degli ex nemici. Alla Conferenza di Parigi (agosto – ottobre 1946), disse, tra l’altro: “Ho il dovere innanzi alla coscienza del mio Paese e per difendere la vitalità del mio popolo, di parlare come italiano; ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando le concezioni del cristianesimo e le speranze dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura che voi cercate e quella cooperazione tra i popoli che avete il compito di stabilire.
Appena dieci anni prima, tra la fine di aprile e i primi di maggio 1945, s’era concluso, in Europa il dramma della guerra. Una conclusione rapida per un conflitto che parve eterno. Il 27 aprile, a Giulino di Mezzegra, vicino al Lago di Como, i partigiani avevano fucilato Benito Mussolini; nel bunker di Berlino, nella notte del 30 aprile, Adolf Hitler era morto suicida; il 1° maggio, la resa delle truppe naziste in Italia; l’8 maggio, la firma dell’atto di capitolazione definitivo del Terzo Reich. Si continuò a combattere in Oriente sino alla definitivo crollo del Giappone (2 settembre 1945), dopo le atomiche di Hiroshima (6 agosto) e Nagasaki (9 agosto).
Per De Gasperi, in Italia, esisteva un altro fronte interno: tenere sotto controllo la piazza, agitata dalla sinistra e dal sindacato ancora unitario. Poi, nel 1948, i rappresentanti cattolici di Pastore, usciti dalla CGIL, fondarono, insieme a repubblicani e socialdemocratici, l’Alleanza per l’unità e l’indipendenza del sindacati, creando le premesse alla formazione della CISL (30 aprile 1950). Un evento profetizzato da Paolo Emilio Taviani : “Presto si avrà anche un 18 aprile sindacale”. Scrissero gli “scissionisti” su un manifesto: Il sindacato non è comunista o socialista. Sarà dei lavoratori o non sarà.
De Gasperi governò per 8 anni il Paese, dal dicembre 1945 al luglio 1953, prima insieme a PCI e PSI, poi, dal maggio 1947, senza di loro. Era un cattolico liberale e aveva particolarmente a cuore la difesa delle classi meno avanzate. Si trovò a guidare una Italia in tocchi, come aveva detto, anni prima, Vittorio Emanuele a Mussolini, il giorno dell’arresto. Il 18 aprile 1948, si tennero le elezioni più sofferte dell’Italia rinata. Quelle della D.C. contro Garibaldi, l’emblema scelto dall’alleanza di sinistra. Elezioni fin troppo animate per la contrapposizione ideologica tra filoamericani e filosovietici. Si paventò l’inserimento dell’Italia nel blocco dei Paesi satelliti dell’URSS, ma il partito guidato da De Gasperi ebbe la maggioranza assoluta alla Camera e relativa al Senato.
Era un italiano di confine essendo nato in provincia di Trento, quando ancora la sua terra faceva parte del dominio austro – ungarico, ma aveva una profonda italianità a fargli da guida. Seppe interpretare il suo difficile ruolo con equilibrio e caparbia volontà, seguendo le linee della solidarietà sociale e del rigore etico, sempre incline ad dialogo ed al confronto. Proprio sotto la bandiera di una democrazia inviolabile, cercò di ricucire le lacerazioni interne, senza particolari tutele internazionali.
Di lui è stato scritto: La più alta e nobile figura di statista che l’Italia abbia conosciuto, padre fondatore della U.E. Spendendo la sua autorevolezza, ottenne dagli USA il famoso prestito di 100 milioni di dollari e difese i confini dell’Alto Adige e della Valle d’Aosta. Non prese parte alla firma del Trattato di Roma, perché morto, improvvisamente d’infarto, il 19 agosto 1954. E’ sepolto a Roma, nella Basilica di S. Lorenzo fuori le mura. La Chiesa gli ha attribuito il titolo di “Servo di Dio”.