di Adriano Marinensi – Agosto è appena trascorso, ma non possono “morire” i ricordi. Soprattutto se tragici. Le vignette giornalistiche fanno quasi sempre ridere. Quella apparsa su uno dei numeri recenti dell’Espresso invece fa pensare. E’ una sorta di trittico: la prima immagine raffigura il famoso orologio della stazione di Bologna, fermo alle ore 10,25 del 2 agosto 1980 (40 anni fa), l’ora dell’infamia. Il momento dell’attentato terroristico degli 85 morti in uno scoppio solo. La seconda immagine mostra una bambina che chiede alla madre: “A cosa serve un orologio rotto?” E nella terza icona, la madre risponde: “Non è rotto. Aspetta e ricorda.” Si, ricorda perché nessuno dimentichi gli effetti nefasti di certe ideologie e la viltà di certi uomini, protagonisti di gesta scellerate ed anche di altri che quelle gesta patrocinarono, padrini parimenti ignobili.
Quell’orologio fermo aspetta ancora che venga raccontata tutta lo verità sulla pagina più orrenda della recente storia repubblicana. Che sconvolse le coscienze degli uomini liberi. Perché, malgrado le ripetute inchieste giudiziarie e le condanne definitive pronunciate, ancora oggi molte zone d’ombra restano inesplorate. Chi fu il burattinaio oppure i burattinai che tirarono i fili di quella mostruosa tragedia? La domanda sembra ora ricevere una risposta. Il titolo del servizio apparso sull’Espresso dice: “Cinque milioni di dollari, dal Capo della P 2 Licio Gelli per finanziare i terroristi neri e comprare la complicità degli apparati di Pubblica sicurezza”. Ci sarebbero infatti documenti che attestano il passaggio di “soldi sporchi, rubati al Banco Ambrosiano e distribuiti nei giorni cruciali della strage.” Sembra esserci, in tal senso, un “accertamento” da parte dell’Autorità giudiziaria. Dunque, se il “braccio” è stato identificato in Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini (ergastolo), la “mente” operava dalla loggia P2.
D’altro canto, Licio Gelli (morto nel 2015) ha subìto condanne “come stratega di una lunga serie di trame per inquinare le indagini, accreditare false piste estere e coprire i terroristi di destra con base a Roma.” Trame favorite da complicità attribuite a importanti apparati dello Stato e “culminate – aggiunge ancora l’Espresso – in un depistaggio organizzato dai Capi del Servizio segreto militare”. I quali “fecero ritrovare sul treno Taranto – Bologna un carico di armi e di esplosivi identici alla bomba del 2 agosto, accanto a falsi documenti di due fantomatici terroristi stranieri.” D’altro canto, la P2 di Gelli era una “grande armata” con 900 affiliati e tra loro tantissimi personaggi di potere, in grado di modificare e gestire il corso della politica italiana.
Ordunque, il ragionamento giornalistico approda ad una prima conclusione: “Gelli (con il concorso di altri) ha depistato le indagini, perché lui stesso ha pianificato la strage.” Una manovra che trova la sua appendice nel più grave misfatto finanziario dell’epoca e cioè il fallimento del Banco Ambrosiano, l’Istituto di credito presieduto da Roberto Calvi, il banchiere di dio, trovato appeso sotto il Ponte dei Frati neri, a Londra, sul Tamigi, nel 1982. Se le ultime indagini saranno convalidate e approderanno ad un processo, forse – dopo 40 anni dalla strage di Bologna – nel libro nero che narra le vicende del periodo buio della Repubblica, potrà essere finalmente scritta anche l’intera pagina di questo atto efferato.
Sino alla notte dei tempi, il mese di agosto racconterà un’altro evento di crudeltà infinita: gli eccidi compiuti ad Hiroshima e Nagasaki dalle atomiche americane nel 1945 (75 anni fa), pochi giorni prima della fine della 2^ guerra mondiale. Qualche mese precedente c’erano state le bombe su Tokio e la terribile carneficina. Le squadriglie di B 29 partite dalle Isole Marianne, non avevano nessuna arma a bordo: soltanto bombe, gran parte incendiarie al napalm. I tanti edifici in legno fecero da innesco alle fiamme. E parte di Tokyo divenne non il solito cumulo di macerie, ma un deserto di cenere. Morirono circa 200 mila persone e 1 milione rimasero senza casa. Quasi 90 km quadrati di territorio urbano risultarono devastati durante le ripetute incursioni del 1945. Gli effetti del napalm, gli anglo – americani li avevano già testati, in Germania, sulla storica e splendida città di Dresda, anch’essa messa in ginocchio prima della fine del conflitto (13 – 15 febbraio 1945) con una orrenda strage di civili.
Hiroshima venne scelta dagli strateghi (criminali di guerra?) statunitensi perché, quel 6 agosto il suo cielo era sereno. E quindi perfettamente documentabili le conseguenze della bomba. La chiamarono Little Boy e fu caricata sopra un B29 Superfortress, che di nome faceva Enola Gay. Il mostro portava il mostro. L’”uccello di fuoco” aveva una apertura alare di 43 metri, un motore da 8.800 cavalli, viaggiava a quasi 600 km orari ad oltre 9.000 metri di quota. Lo scopo della missione era noto solo al comandante. Little Boy era figlia del “progetto Mahanattan”, ed una sua sosia l’avevano sperimentata, in luglio, ad Alamogordo, nel deserto del Nuovo Mexico, con “piena soddisfazione” degli alti gradi militari.
Toccò ad Henry Truman decidere l’uso dei due ordigni. Il Presidente F.D. Roosevelt era mancato all’improvviso, il 12 aprile, forse per le conseguenze del lungo e difficile conflitto che agli USA costò un patrimonio dal punto di vista economico e migliaia e migliaia di giovani caduti sui tanti fronti di guerra. A cominciare da quelli uccisi dai giapponesi nel vile attacco aereo – navale alla base di Pearl Harbor (7 dicembre 1941: 2.400 morti, 1300 feriti, mezza flotta affondata o danneggiata). Poi, le perdite nello sbarco in Normandia, le sanguinose battaglie per la liberazione della Francia e la sconfitta della Germania, la Campagna d’Italia.
Little Boy venne programmata perché potesse scoppiare ad alcune centinaia di metri d’altezza in modo da ampliarne l’efficacia distruttiva. Gli scienziati hanno detto che provocò una esplosione di potenza pari a 16 kilotoni di tonnellate di “convenzionale”, distrusse il 70% della città e il 30% della popolazione: a Hiroshima morirono all’istante 80 mila persone, e molte altre migliaia in tempi successivi. Senza escludere dal conto i feriti dalle radiazioni e quanti rimasero deturpati in maniera deforme. Sommati ai 35 mila deceduti sul colpo a Nagasaki, danno la dimensione della mostruosità. Nelle due città, del Ground Zero non rimase più nulla. Attorno tutto era contaminato. Il copilota dell’Enola Gay, quando vide il fungo, gridò: “Mio Dio, cosa abbiamo fatto!” Avevano fatto un olocausto. In Giappone, i sopravvissuti li chiamavano hibakusha, cioè colpito dalla bomba. Le ragazze negavano dì esserlo, perché nessuno le voleva per mogli. Oggi, gli arsenali nucleari contengono ordigni ancora più demolitori. La speranza è che il loro potenziale faccia da deterrente. E vinca sempre la pace.