di Bruno Di Pilla – E adesso come vivremo, assediati dal Covid e perfino privi della calda umanità di Gigi Proietti? Già da tempo orfani di Nannarella, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Vittorio Gassman, che hanno per decenni irrigato di lacrime le nostre guance, ma anche placato le inquietudini dello spirito con estemporanea e frizzante allegria, non potremo che rivederne con occhi velati le interpretazioni teatrali, cinematografiche e televisive, tutte puntualmente caratterizzate dall’ansia di comunicare sentimenti di forte adesione e sostegno ai drammi esistenziali dell’uomo novecentesco e di questo travagliato avvio del terzo millennio.
Ci mancheranno il sorriso bonario del maresciallo Rocca, le vivide passioni autobiografiche del principe Amleto, il trepido amore per il giornalismo d’inchiesta emerso con rara perizia quando Gigi, in tv, vestì i panni del cronista del “Messaggero”, il quotidiano da lui tanto amato, per il quale scrisse articoli colmi di estatica ammirazione per la sua Roma, non solo calcistica. E quanto pathos sapeva trasfondere nei meandri dell’anima quando, con voce stentorea, leggeva brani danteschi o rievocava storici personaggi nel bel mezzo dei programmi culturali di Alberto Angela. Lo ricordiamo anche sorridente e paterno, in un film a lui particolarmente caro, quando indossò la tonaca di san Filippo Neri, attorniato da una moltitudine di bimbi in festa. Se n’è andato in punta di piedi, con leggerezza, l’ultimo grande aedo della romanità e del più attraente volto italico, solcato da antiche ma nobili rughe.