di Adriano Marinensi – Siamo nel 1948 e la guerra è dietro l’angolo girato da poco. Il grande miracolo della ricostruzione è appena iniziato in Italia e in Europa. Viviamo quindi nel periodo dei “Piani di recupero e guarigione”, in lingua inglese Recovery. Quello dello Zio Sam ha due appellativi: E. R. P. – European Recovery Program e Piano Marshall, dal nome del suo ideatore. Gli americani, non certo per beneficenza, nel 1947, mettono in atto un gigantesco soccorso verso i Paesi dell’Europa, disastrati anche ad opera delle loro micidiali fortezze volanti. Si procede mediante finanziamenti diretti alle imprese (loans) e “regali” agli Stati (grants). Ha qualche somiglianza con l’attuale Recovery Fund varato dalla U. E. per riparare i danni dell’odierna guerra scatenata dalla pandemia.
Nell’E. R. P. sono previsti sostegni per “progetti con obiettivi prefissati in termini di produzione industriale”. In Italia, il primo pensiero è rivolto al settore siderurgico. Occorre un progetto bene articolato. A presiedere la Finsider, preminente settore dell’I.R.I., c’è un Ingegnere, già a capo dell’ILVA negli anni ’30 del ‘900, che ha buona fama di capitano d’industria. Si chiama Oscar Sinigaglia. A lui il Governo affida la redazione del Piano che deve rimettere in moto lo strategico settore dell’economia nazionale, il Piano Sinigaglia, appunto.
Prevede tre centri per la produzione di acciaio a costi contenuti, a Bagnoli, a Piombino, con maggiore riguardo per Genova Cornigliano. L’Acciaieria di Terni non compare tra i destinatari dell’operazione. Eppure possiede una storia da salvaguardare e soprattutto circa 10.000 posti di lavoro. La Finsider e il suo Presidente hanno in carico pure la “Soc. Terni”, all’epoca titolare di un doppio patrimonio operativo, siderurgico ed elettrico. La consistenza riguardante gli impianti produttivi dell’elettricità è imponente e sostiene, con i suoi profitti, i bilanci degli altri rami aziendali. Quindi, i pericoli di ridimensionamento dell’Acciaieria sono reali e rilevanti per l’assetto economico e sociale dell’Umbria. E fanno intravvedere reali sacrifici occupazionali.
Occorre prenderselo di petto questo Ingegnere che guarda al “complesso Terni” con occhio strabico. Nel Collegio Umbro – voto 1948 – è stato eletto alla Camera un giovane Deputato ternano, Filippo Micheli, in rappresentanza della D.C. (vi rimarrà per 11 legislature). La difesa e l’integrità della grande fabbrica locale ritiene sia il suo primo dovere. Decide di andare lui a Roma nel tentativo, in verità abbastanza aleatorio, di modificare le decisioni assunte. I collegamenti tra la capitale e la periferia sono alquanto approssimativi. Però bisogna andare comunque.
Nel libro Mezzo secolo di storia vissuta, che Filippo Micheli ha scritto poco prima di morire, oltre alla vicenda politica personale, viene descritta, con la penna del protagonista, una interessante serie di fatti riguardanti l’Umbria e la Sabina, dalla guerra alla ricostruzione civile e democratica dell’Italia e delle Istituzioni locali. Il viaggio a Roma, Micheli lo racconta così: “In bicicletta – perché allora era difficile reperire altri mezzi di trasporto e superando notevoli difficoltà di traffico –
arrivai alla sede centrale della Democrazia Cristiana. Ebbi l’occasione di incontrare l’allora Commissario straordinario delle attività siderurgiche, l’ing. Oscar Sinigaglia.
“Colsi l’occasione per esporre a lui – prosegue Micheli – la situazione industriale ternana, mettendo in risalto quanto era stato fatto in settanta anni di lavoro. Posi la domanda su cosa si avesse intenzione di fare, in tempi brevi, per riattivare la produzione e la ripresa del lavoro. L’ing. Sinigaglia ascoltò attentamente la mia accalorata illustrazione e rispose asserendo che il nuovo processo di riconversione siderurgica non poteva essere previsto se non attraverso strutture operative situate in zone vicino ai porti, a Genova, Piombino e Bagnoli. Quindi non nelle zone interne, lontano dai punti di imbarco. Questo suo concetto rimase, per molto, intoccabile riferimento nella progettazione della nuova siderurgia”.
L’impatto dunque di Micheli con il suo interlocutore presenta subito segni di muro contro muro. Il dado sembra ormai tratto: la Soc. Terni, che insieme alla Fabbrica d’Armi, per ragioni di strategia militare, era stata collocata al centro della penisola, ora è diventata inadatta per le moderne visioni programmatiche. Micheli, pur spiazzato dalla posizione massimalista di Sinigaglia, rilancia facendo presente il vantaggio della “utilizzazione dell’energia elettrica prodotta dall’ azienda stessa, proprietaria di un notevole complesso di centrali”. Cerca di dimostrare che una siderurgia in trasformazione, avvantaggiata da tale fattore positivo, “avrebbe potuto raggiungere obiettivi importanti, difficilmente conseguibili altrove”. E’ tenace l’arringa di Micheli per rimuovere gli ostacoli frapposti dall’Ingegnere. Però, nella replica – si legge nel libro – “Sinigaglia riaffermò il personale convincimento. Per quanto riguarda il problema, andava considerato il solo settore della produzione di acciaio: tutto il resto – disse – aveva un’importanza secondaria”.
Lo zelatore dell’Acciaieria annota nel racconto dei fatti: “Riconfermai la mia posizione nettamente contraria alla sua, aggiungendo (eccolo il forte messaggio politico, n. d. a.) che la popolazione ternana avrebbe difeso quanto in decenni di duro lavoro e di sacrifici, si era riusciti a realizzare. Pertanto non avremmo accettato proposte impositive … in quanto il risultato sarebbe stato del tutto negativo a causa dello sfilacciamento del tessuto economico ternano e per i riflessi su quello umbro”. C’è, nel resoconto del colloquio, la storia della nostra siderurgia fatta conoscere, con autorevolezza, da Micheli all’ Ingegnere. Con l’aggiunta della fama conquistata dalla Soc. Terni in campo mondiale, “non solo per le produzioni specializzate, ma anche per l’alta qualificazione delle maestranze”. Quelle maestranze – sottolinea Micheli – che, “con coraggio, durante la guerra, sono riuscite ad evitare che i tedeschi in fuga arrecassero ulteriori danni alle strutture industriali, patrimonio di tutti”. Pare volesse fargli capire che quei lavoratori meritavano rispetto e avrebbero lottato per l’ulteriore difesa.
Il confronto è finito e purtroppo ciascuno è rimasto sulle proprie posizioni. E Micheli conclude nel libro: “Ripresi il viaggio di ritorno (io penso, dopo il pernottamento a Roma) verso Terni, sempre in bicicletta, molto scoraggiato. Tuttavia, né in quei momenti di comprensibile sconforto, né in seguito, venne mai meno in me la speranza in un futuro migliore e nel rilancio dell’economia”. Terni e l’Umbria – Micheli ne era certo – avevano assoluta necessità del sostegno economico per salvaguardare i valori democratici, umani e sociali. Arrivarono poi le battaglie sindacali e politiche nel tempo della diaspora occupazionale (1952 – 53) e dei (mancati) indennizzi Enel (1962 – 63).