di Adriano Marinensi – Ho già scritto di alcuni massacri della 2^ guerra mondiale.Delle atomiche di Hiroshima e Nagasaki, del terribile bombardamento di Dresda, del vile agguato di Pearl Harbour, delle atrocità dei lagers, delle migliaia dei morti rimasti sotto le macerie. Migliaia subito e molti altri per gli effetti postumi dei micidiali ordigni impiegati.
Ma, ce n’è un altro di orrore, perpetrato durante quell’infame conflitto: la distruzione di Tokio, senza che quell’apocalisse potesse avere neppure l’inganno dell’azione bellica strategica. Come altrove, fu un massacro e basta, una espressione dimostrativa di potenza a danno della popolazione inerme. La potenza, in molte occasioni messa in mostra dall’orgoglio dei signori della guerra.
Che peraltro furono numerosi proprio in Giappone e Corea nelle stragi per la loro caparbia volontà di resistere ad ogni costo. Pure a costo di un milione di vittime civili, quanti furono i caduti innocenti alla fine delle operazioni militari. Dunque, poco prima di Hiroshima e Nagasaki, a pagare un alto prezzo alla brutalità fu Tokyo.
Era la orgogliosa capitale dell’Impero del Sol levante, una città immensa e densamente popolata, il simbolo del fanatismo dei soldati nipponici che avevano aggredito e assoggettato, in poco tempo, molti popoli in Estremo oriente. Era la venerata capitale dei kamikaze (“vento divino”), i piloti suicidi che si gettavano, con l’aereo, sulle navi nemiche e avevano contribuito a far apparire il Giappone indomabile macchina da guerra.
Sino ai primi di giugno 1945, una sola volta gli americani erano riusciti a raggiungere in volo Tokio, però con una modesta squadriglia, partita da portaerei, perché le basi di terra dell’aviazione USA stavano troppo lontane per i bombardieri in servizio. Poi però qualcosa di nuovo lo avevano costruito : un aereo capace di coprire grandi distanze, con a bordo notevoli quantità di esplosivo. Si trattava del quadrimotore B29, denominato Superfortezza volante. Gigante dell’aria e mostro, autore di prestazioni al massimo della capacità offensiva.
Considerata la disponibilità di questa nuova arma ad ampio raggio, visto che il Giappone non aveva alcuna intenzione di cessare le ostilità, constatato che le operazioni, nel continente europeo, volgevano al termine (finiranno, di fatto, con il suicidio di Hitler nel bunker di Berlino, il 31 aprile), nella notte tra il 9 e il 10 marzo 1945, una vera e propria armata aerea arrivò sul cielo di Tokio, al comando del generale Curtiss Le May.
In un paio di ore ed ad intervalli regolari, 332 giganti dell’aria scaricarono sulla città un inferno di fuoco. L’effetto teorico lo avevano calcolato a tavolino, quello pratico superò ogni aspettativa, perché oltre 40 chilometri quadrati di territorio urbano vennero investiti e rasi al suolo. Un’onda infiammata passò veloce e distruttiva quanto uno tsunami, incenerendo – affermano i resoconti – ogni cosa al suo passaggio e facendo ribollire le acque, con punte di calore di mille gradi.
Spiegano altresì quei resoconti che “una macabra nebbia rossa” arrivò all’altezza degli aeroplani che viaggiavano a 3000 metri di quota. E che “il napalm fece di Tokio un deserto di cenere”. Insomma, il teatro del raccapriccio, sopra il quale rimasero uccise all’istante 83.793 persone d’ogni sesso ed età. Questo limitatamente alle cifre fatte passare per ufficiali, in quanto ricercatori accreditati arrivarono a parlare di 200.000, comprendendo gli effetti successivi e collaterali. Una incursione forse inferiore soltanto all’altra compiuta su Toyama, rimasta distrutta quasi al cento per cento. Ancora la storia, basata sui rapporti militari, narra di un complesso di disastri immani : il conto finale della guerra fu che “quasi 300 chilometri quadrati di territorio edificato, in Giappone, furono distrutti dalle bombe, provocando quasi il doppio dei morti giapponesi caduti in quattro anni di combattimenti”.
Questo è stato il senso reale dei “bombardamenti di saturazione” (così li definirono dagli empi strateghi) tendenti ad annientare tutto e tutti, in un vortice di ferro e fuoco, tra le peggiori conseguenze del proverbiale sonno della ragione che inferocisce l’uomo ben oltre le capacità della belva. Quando il confronto non è più tra eserciti armati, bensì prende forme diverse che coinvolgono massicciamente le popolazioni, il sacrificio di tante persone diventa fondamentale per la vittoria finale. Conseguita però, la vittoria, con il contributo determinante dei carnefici della civiltà. Ogni diritto umano soppresso, insieme al senso sacro della vita, sostituito dal culto perverso della morte.
E non si può dire che oggi le cose siano del tutto cambiate: sono in atto nel mondo tante situazioni di violenza che, messe insieme, hanno la dimensione di un’altra guerra mondiale, in molta parte combattuta nel silenzio dell’informazione dei cosiddetti Paesi civili.