TERNI – Si scrive Berliner Philarmoniker ma si pronuncia Wilhelm Furtwaengler, Bruno Walter, Herbert von Karajan e Claudio Abbado. I Filarmonici di Berlino sono i più bravi, totalizzano il massimo dello spread con tutte le orchestre del mondo e segnano il passo della evoluzione della storia musicale europea.
A Berlino l’orchestra, che dal 1882 si era costituita come una sorta di società per azioni tra i suoi componenti, suonò anche sotto le bombe degli alleati che nell’aprile del 1945 conquistavano la città radendola al suolo. Nella Beethoven-Saal, accanto alla sede storia della Philarmonie, non più agibile perché polverizzata sembra che interpretasse come ultimo brano “Morte e trasfigurazione” di Richard Strauss.
Oggi i Berliner rappresentano l’efficienza assoluta della musica sinfonica e “catturare” almeno una parte delle sue componenti e trascinarle a Terni, nel più inopinato dei luoghi da concerto, è un’operazione da record che solo Laura Musella poteva realizzare con l’apparente semplicità di un sorriso.
In realtà la promozione di un concerto come quello di ieri sera richiede una complessità di azioni che hanno portato il festival Omaggio all’Umbria al sostegno di istituzioni finanziarie che si sono fatte carico di un impegno certamente oneroso.
Erano solo dodici i componenti della mitica orchestra che, sotto la dizione Philarmonische Camerata Berlin, si sono schierati nella sala mensa del Polo di Mantenimento armi leggere, l’antica e storica Fabbrica delle armi che in tempi passati assicurava ricchezza e prosperità all’intera città. Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, Banca Mediolanum e Camera di Commercio di Terni si sono assicurate il merito di un evento che non ha eguali nella storia dello spettacolo in Umbria.
Dopo un accesso piuttosto difficoltoso il pubblico che si assiepava nell’ingresso di viale Brin è lentamente defluito nei viali della Fabbrica, sorvegliati a vista da discreti soldatini di tutte le componenti dell’Esercito. Ci dicono che almeno un centinaio di persone sono rimaste fuori, dato che i numeri erano stati drasticamente limitati.
Il colonnello comandante, Giuseppe Dei Bardi ha fatto gli onori di casa, dopodiche sono spuntati, baldanzosi a oltranza i dodici Berliner. Appena hanno appoggiato gli archetti si librata quella magia che tutti aspettavamo. Suonare Mozart con leggerezza lo sanno fare in tanti, ma cesellare ogni frase del Divertimento KV 136 e ornarla con una morbidezza squisita, polposa, aromatica e frizzante, è la ricetta peculiare dei componenti della Filarmonica. Gradevoli anche a vederli, i musicisti hanno rivelato il segreto della Filarmonica: ognuno di loro è un eccellente solista e l’unione di fuori classe fa la qualità della squadra. O, molto più crudamente, ogni arco è un piccolo manager che la mette tutta per far funzione l’azienda secondo gli stardard stabiliti dalla storia. Almeno tre dei Berliner erano ragazzi poco più che ventenni: crediamo che essere lì vuol dire aver disertato movida, pub e discoteca per ritagliarsi un futuro da sogno. Ma soprattutto manifesta l’alta qualità della formazione e dell’educazione musicale.
Il passaggio al successivo Mendelssohn quello della fulminante Sinfonia in si minore, con tutte le sue accorate perorazioni, è stato per i dodici maestri tedeschi, un’operazione di alta retorica strumentale, con un senso dell’impasto oscuro, fremente. Il breve passaggio pianistico con Sabrina Lanzi e il Concerto in re minore di Bach ha fatto strada alla meraviglia della serata, la Serenata op. 22 di Dvorak, suonata con tutte le tinte dell’autunno. E con quella capacità incredibile di realizzare, in dodici, una dimensione acustica ad alta densità, per poi, un attimo dopo, farsi mormoranti come un ruscello. Mai in tanti ascolti di questa popolarissima opera si era sentito sussurrare il bosco da cui violini, viole e violoncelli sono stati intagliati.
In sala, tra i tanti, c’era una mammina in veste azzurra che ha vegliato il suo bebè, Tommaso, di appena due mesi, tenendolo tra le braccia in piedi, nel timore di un minimo vagito. L’infante era sveglio e non si è mai agitato: ci chiediamo chi mai abbia potuto godere di un avvio alla musica così irripetibile e autorevole. Un viatico invidiabile.
Delirio del pubblico alla fine del concerto, ma i generosi Berliner vogliono farci ascoltare un gioiello della corona, il primo violino, Luiz Felipe Coelho, che suona la “Ridda degli gnomi” con un virtuosismo senza pari, con tutti i pizzicati della sinistra che esplodevano come proiettili. Di mitragliatrici, nel contiguo Museo delle Armi ce ne sono a centinaia e di conseguenza il paragone è pertinente.
Come non bastasse anche una polka di Strauss.
Ieri sera al Polo è sceso un lembo di cielo e un pezzetto ce lo siamo portati a casa tutti.
Stefano Ragni