di Francesco Castellini – E dunque un altro pezzo di Buona Umbria rischia di essere cancellato.
È di queste ore l’ultima possibile sottrazione che verrebbe a depauperare un territorio già pesantemente saccheggiato e impoverito in questi anni terribili di crisi e di disfatte. L’Ast di Terni è stata messa in vendita. La notizia arriva da Essen, a diffonderla è l’agenzia Reuters che riporta le parole del Ceo del gruppo tedesco Heinrich Hiesinger.
Evidentemente l’asset di produzione dell’inox non rientra più nei piani della casa madre tedesca, e il sito di viale Brin è dunque destinato a tornare sul mercato.
Non ci vuole molto a capire che questo significa l’esclusione di Ast dalla fusione Thyssen-Tata.
A fine ottobre, come ricorda pure la Reuters, la multinazionale aveva comunicato ai sindacati che Ast non sarebbe stata trasferita alla joint venture europea con Tata Steel per la produzione di acciaio.
E c’era già chi temeva che quello sarebbe stato il primo passo verso la dismissione del centro di produzione di Terni, ora tagliato fuori dalla sua stessa casa madre.
Una fine annunciata che non trova impreparati i sindacati.
Che Thyssenkrupp non fosse più interessato alla produzione di acciaio inossidabile era nell’aria da tempo.
Basti ricordare che appena otto mesi fa i segretari delle sigle dei metalmeccanici iniziarono a manifestare apertamente il timore di una cessione dello stabilimento.
Da allora si è agito per scongiurare il temuto epilogo.
Si è operato per stipulare un protocollo sugli appalti, per recepire dati oggettivi sulla questione ambientale e infine per redistribuire l’utile a favore dei lavoratori che hanno scelto di restare in azienda investendo lì per il proprio futuro.
Ma tutto, alla luce dei fatti, si sta rivelando inutile. A ben vedere, proprio dall’avvento di Lucia Morselli ai piani alti di viale Brin, il percorso per il futuro dell’acciaieria ternana era già tracciato. Forse, non a caso, dopo la ristrutturazione fatta e la riorganizzazione in corso, adesso si è semplicemente approdati alla vendita come soluzione finale.
Dopo la cessione dello stabilimento brasiliano e quello marchigiano Terninox, dunque, ora tocca all’acciaieria di Terni.
La notizia non è passata inosservata alla Regione, che subito ha lanciato un monito alla multinazionale e al Governo: «Non è più tollerabile – affermano la presidente Catiuscia Marini e il suo vice fabio Paparelli – che la Tk continui ad affidare a note di agenzia comunicazioni che riguardano i futuri assetti proprietari di un sito industriale di grande rilevanza strategica non solo per Terni e l’Umbria, ma per il Paese. È ormai dal 2012 che Thyssen utilizza tale irriverente ed inusuale modalità di gestione delle relazioni sindacali ed istituzionali. E non ci meraviglia, quindi, apprendere ora, sempre da una agenzia di stampa, la volontà di Tk di cedere l’Ast». «Ciò che però deve essere chiaro – aggiunge Marini – è che in quanto rappresentanti delle istituzioni regionali e locali a noi interessa prima di tutto la messa in sicurezza del futuro di questo sito industriale, della sua capacità produttiva e dei suoi livelli occupazionali. Le Acciaierie di Terni sono figlie della storia industriale dell’Umbria e dell’Italia; una storia che noi intendiamo difendere in ogni sede. Per questo, ritengo essenziale, e non più rinviabile, un incontro con la dirigenza di Thyssen in sede governativa, al fine di acquisire informazioni ufficiali circa gli obiettivi e le scelte strategiche della multinazionale».
Ma sulla questione c’è da registrare anche una nota critica del consigliere dell’opposizione Claudio Ricci, che afferma: «La Thyssenkrupp comunica, in modo chiaro, che Tk-Ast di Terni è sul mercato. Quindi in vendita. Una notizia preoccupante, come indicato dai sindacati, che evidenzia il “fallimento” della politica economica della Regione. Quando la “nave affonda” (meno 15.000 posti di lavoro, in Umbria, in 10 anni) tutti se ne vanno. La regione non è più attrattiva per molte carenze anche strutturali. La povertà è già al 12% e, forse, crescerà. Ovviamente, anche a Terni, tutti i posti di lavoro devono essere tutelati. Nessuno, però, sta lavorando al nuovo distretto che dovrebbe nascere (oltre a tutelare quello dell’acciaio speciale e del polo chimico. Facciamo nascere la “Terni Valley” (fra Terni e Narni), puntando su aziende, ricerca e universitá legate a: digitale, robotica, tecnologie per il risparmio, nuovi materiali per l’elettrico da fonti rinnovabili, creatività, brevetti digitali applicati e company social network. “Terni Valley”, nome indicato da una lungimirante associazione, deve diventare un “concreto” piano di marketing operativo per far nascere un nuovo distretto innovativo europeo (come, in origine, nacque quello attuale)».