Di Adriano Marinensi – Un mese fa, di questi giorni, ho perso un grande amico; Terni e l’Umbria, un protagonista, che ha lasciato tracce profonde. Terenzio Malvetani è stato uomo di cultura, di pensiero e d’azione, esponente politico di sicura fede democratica, impegnato in campo economico ed amministrativo. La sua esperienza, sempre mantenuta su alti livelli di rigore civile, è narrata in un volumetto (la definizione è sua) da lui scritto, che ha per titolo “Un impegno lungo mezzo secolo”. E’ una sorta di testamento e insieme testimonianza di vita vissuta con intensità, un operare concreto e positivo, in parte prevalente al servizio della collettività.
Mi telefonò (era novembre del 2003), per dirmi dell’uscita del libro. E aggiunse: “Vorrei che lo presentassi tu, durante la manifestazione in programma, a Perugia, nella Sala di partecipazione del Consiglio regionale”. Ho avuto così l’occasione di leggerlo attentamente e di ripercorrere vicende significative legate alla sua persona ed ancor più alla comunità regionale. Una carrellata di fatti e personaggi che hanno connotato il racconto di un rilievo storico. Di Malvetani emergono, in particolare, due aspetti: l’uomo e il professionista. Il professionista di elevato sapere in materia economico-finanziaria e il padre di famiglia, di idee moderne, ma educato al rispetto dei valori, delle tradizioni, dell’equilibrio intellettuale.
Scrive Sandro Petrollini nella prefazione: “Terenzio Malvetani è una di quelle persone che, in qualsiasi stagione, giorno o settimana, le incontri, sono vivaci, grintose, informate … scatta, sembra lì lì intento a completare una gara dei cento metri … più preoccupato di raggiungere gli obiettivi prefissi, che incline ai rapporti che contano”. In altre parole, un gentiluomo del popolo, deciso, autorevole e con l’occhio sempre orientato verso il traguardo.
L’esordio pubblico da Sindaco di Stroncone (1956 – 1962), il suo paese natale. Ha doti di “scalatore”, ma sale con le sue capacità e presto diventa, per la prima volta (1962; lo sarà ancora verso la fine del ‘900) Presidente della Cassa di Risparmio di Terni. Rispetta le regole bancarie e, nel contempo, esige, da parte dell’Istituto di credito, un ruolo di promozione sociale (non esistevano ancora le Fondazioni). Insomma, un “banchiere” a modo suo, aperto alla città, sempre pronto al dialogo con le forze attive, per sostenere lo sviluppo e l’occupazione. Per tutti, più Terenzio che Malvetani. La stima conquistata nel mondo delle banche lo porta (1971) alla Presidenza del Mediocredito regionale, una nomina unanime – è scritto nel libro – che contravviene alla prassi consolidata di un incarico da sempre appannaggio di Perugia.
E’ raccontata anche l’avventura alla Presidenza della “Soc. Terni” (1973) quand’era ancora la grande fabbrica siderurgica, però succube della Finsider, un po’ madre – padrona; ed aveva urgente bisogno di riassettare i propri bilanci e la struttura aziendale. “L’esercizio 1973 – precisa Malvetani – si chiuse con una perdita di 5.850 milioni che venne ripianata, insieme a quelle degli anni precedenti ammontanti a 7.450 milioni, mediante svalutazione del capitale sociale”. Dal punto di vista finanziario, la fabbrica non era messa bene. Per il neo Presidente, una “dolorosa” patata bollente. Qualche sofferenza pure nei vari reparti. Per salvarne uno molto importante – la Divisione Condotte forzate e Caldareria (D.D.C.) – Malvetani propose una società mista con la Breda Termomeccanica. Apriti cielo! I sindacati e le forze di sinistra opposero al Presidente democristiano un NO maiuscolo allo scorporo. Con il senno di poi, molti dei sostenitori del no diranno: “Aveva ragione Malvetani”. Ancora nella prefazione al libro, il collega Petrollini la giudica telegraficamente in questo modo: “E’ una pagina piena di entusiasmo (da parte sua), ma anche di ipocrisie e di insulsaggini (da parte degli altri)”. E lui, alla fine, “si tira da parte – ancora Petrollini – per cercare di garantire un futuro alla Soc. Terni e alla città di Terni”.
Si intravede, tra le righe, una punta d’orgoglio quando narra la sua mancata elezione(1972), per un pelo, al Senato, nel Collegio (per la D. C., sempre perdente) di Terni. Per eleggere almeno un Senatore nella provincia seconda provincia dell’Umbria – gli fece notare Romolo Tiberi, poi uscito vincitore al Orvieto – occorre prendere almeno tre – quattromila voti in più della precedente consultazione. Impresa ardua, ma non impossibile per un candidato di nome Malvetani. “Condussi la campagna elettorale con tutte le giovanili energie che, in quell’epoca possedevo”. E ovviamente con l’entusiasmo e la tenacia messa in ogni suo campo d’attività. Ed ecco la conclusione, con l’anzidetta punta d’orgoglio: “Il risultato superò ogni più rosea aspettativa. Realizzai 7.100 voti in più del 1968 e la D.C. ebbe un incremento percentuale del 6%”.
Non è sottaciuta nel libro, anzi è trattata con dovizia di particolari e documenti, la malaugurata vicissitudine all’ “Italcasse” – era l’Istituto di credito delle Casse di Risparmio italiane – che lo portò a patire le pene del carcere. Lui la espone iniziando così: “Alle 6 in punto del 2 marzo 1980, sento bussare alla porta della vetrata d’ingresso del mio appartamento al secondo piano della casa di S. Lorenzo di Stroncone. Era la cara zia Maria che mi comunicava, con voce concitata, che al piano sottostante c’era ad attendermi il Capitano dei Carabinieri”. Iniziò quel giorno di quasi primavera, il calvario di un innocente, durato 8 lunghi anni, con sulle spalle (sue e degli altri componenti il Consiglio d’Amministrazione) una serie di imputazioni relative ai cosiddetti “fondi bianchi dell’Italcasse”. A Rebibbia l’attendeva – puntualizza nel libro – “una cella singola di circa nove metri quadri, un letto ribaltabile, un armadietto, un lavandino, un tavolo e una sedia”. Ci rimase 28 giorni. Fu una vicenda giudiziaria grottesca, infarcita anche da qualche accusa pretestuosa, che si concluse con l’assoluzione piena “perché – è sancito in sentenza, convalidata dalla Cassazione – il fatto non sussiste”.
Ora se n’è andato senza clamore, nel quasi religioso silenzio della casa di Stroncone. Non se ne andrà, di sicuro, il segno indelebile da lui lasciato con l’esempio, l’intelligenza, le opere. L’ho sentito ch’era l’ inizio di giugno. All’altro capo del telefono, una voce non più quella squillante, sempre udita in precedenza. Mi ha detto sommessamente: “Mio caro amico, siamo agli sgoccioli”. Purtroppo aveva ragione. Caro Terenzio, nel ricordo perenne, ora sarà la preghiera il nostro immutato “strumento” di fraterno dialogo.