Il ministero della Salute ha 60 giorni di tempo per risarcire con oltre 300 mila euro la 56enne amerina, cui nel 1988 fu iniettato sangue infetto nell’ospedale di Amelia.
Lo ha stabilito il Tar dell’Umbria con una sentenza che dà esecuzione alla decisione del tribunale civile di Perugia, che già nel dicembre 2016 aveva dato ragione alla donna, assistita dagli avvocati Cinzia Calvanese e Doriana Succhiarelli, riconoscendole il maxi indennizzo per emotrasfusioni con sangue infetto da epatite C, del cui controllo è responsabile il ministero. La notizia è stata riportata da alcuni quotidiani.
Per rivendicare i suoi diritti la donna si è presentata davanti al collegio dei giudici amministrativi (presidente Potenza, a latere Amovilli e Mattei) e ha chiesto il versamento del risarcimento a cinque a zeri, mentre il ministero della Salute, che si è costituito in giudizio, non ha contestato la richiesta della donna, su cui anche il Tar dell’Umbria si è pronunciato positivamente «non rileva ragioni per negarla, non avendo il ministero provveduto al pagamento delle somme in questione».
Da qui la decisione di ordinare «entro il termine perentorio di 60 giorni» il pagamento in favore della cinquantaseienne amerina vittima della trasfusione di sangue infetto.
Se il ministero della Salute dovesse continuare a non versare i 305.428,84 euro alla donna, automaticamente sarebbe nominato commissario ad acta per l’esecuzione della sentenza il direttore generale del Personale, dell’organizzazione e del bilancio del ministero o un suo delegato, «il quale entro 30 giorni provvederà – è la decisione del Tar dell’Umbria – all’integrale esecuzione della sentenza».
Giustizia dunque è fatta, anche se dopo 31 anni dal fatto.