Di Leo Cubia – La Sanità in Umbria – ce lo dicono con buona frequenza gli amministratori regionali – è considerata positivamente a livello nazionale, tanto che lo scorso anno, quando il ministro Beatrice Lorenzin , in visita all’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia ebbe a pronunciare parole di apprezzamento per l’organizzazione sanitaria.
Parole che spinsero la Presidente della Giunta Regionale, Catiuscia Marini, a dire che:” il Ministro conosce bene i dati della nostra spesa sanitaria , l’organizzazione dei servizi e come sono garantiti i Livelli Essenziali di Assistenza. La Sanità umbra – aggiunse Catiuscia Marini – brilla per qualità nella gestione dell’emergenza e per capacità d’innovazione. Il tutto anche grazie allo stretto lavoro di collaborazione fra Regione, Ministero e Università”.
Dal canto suo il Direttore Generale Walter Orlandi nell’occasione affermò: ”L’Umbria è una regione benchmark e il nostro ospedale ha raggiunto ottimi risultati dal punto di vista degli indicatori di qualità. Eroghiamo – aggiunse Orlandi – beni e servizi per 160 milioni, pagando in 45 giorni, quindi non soltanto produciamo ricchezza, ma garantiamo anche lo sviluppo economico del territorio”
Si può comprendere la soddisfazione della Presidente Marini e del D.G. Orlandi, ma c’è da aggiungere dire che il giudizio sulla “qualità” della sanità in questa regione deve comprendere anche altri parametri, come la correttezza del rapporto fra medico e paziente ivi compresa la spiegazione al paziente del perché e del per come questi debba sottoporsi a sacrifici apparentemente inutili, come nel caso che ci è stato segnalato da un professionista perugino.
Al quale – nel 2010 – venne diagnosticata, presso il Reparto di neurofisiopatologia di Perugia – una forma di Polineuropatia demielizzante da Gammopatia autoimmune. In tale Reparto il paziente fu sottoposto ad una serie di esami clinici durante un breve ricovero (tre giorni), tra cui l’analisi degli Anticorpi AntiMaG.
Tale esame richiede che il reperto, ottenuto attraverso un normalissimo prelievo di sangue, venga inviato ad un laboratorio esterno (sembra a Roma) dal quale nell’arco di un mese circa arriva la risposta. Il tipo di malattia richiede analisi periodiche (una volta all’anno per ora) tra l’altro per la valutazione appunto degli anticorpi AntiMaG.
Il nostro paziente continua così il racconto della sua “avventura”: “Il prelievo per questo esame viene effettuato a Perugia presso il Reparto di Neurofisiopatologia , ma solo in regime di ricovero e non anche in regime ambulatoriale. Così – aggiunge – siccome è comprensibilmente impensabile ricoverare un paziente per sottoporlo ad un semplice prelievo, sono costretto a recarmi altrove per ottenere la stessa prestazione pur dovendo affrontare evidenti costi e disagi”.
Continua: “Dal momento che questa distinzione mi sembra paradossale, mi sono rivolto sia ai medici di Ematologia, che mi seguono per la parte di loro competenza, sia a quelli del reparto Trasfusionale, presso il quale mi sottopongo, con cadenza mensile, a trattamenti di Plasmaferesi allo scopo di rallentare il progresso della malattia. Per i medici di ambedue i reparti è indispensabile poter disporre dei risultati dell’esame in questione, ma anche loro non sono riusciti a farmi sottoporre al prelievo di sangue in regime ambulatoriale.
“Ho tentato perciò di rivolgermi personalmente alla Direzione Sanitaria dell’Ospedale di Perugia per cercare di comprendere il perché di questo paradosso, ma dopo i consueti rimpalli tra diversi enti sono tornato al punto di partenza ove, in ultima istanza, ho tentato di parlare personalmente con la direttrice, dott.ssa Pioppo. La sua segreteria si è fatta riferire dettagliatamente i termini del problema promettendomi una risposta che, nonostante reiterati tentativi, non è mai arrivata”
Il paziente conclude il suo scritto denunciando quanto sta accadendo come “un esempio di cattiva gestione della Sanità e dei rapporti con gli utenti/pazienti”.
E continua: “Non sono il solo a necessitare di queste prestazioni, anche se questo genere di patologia si configura come malattia rara, ma ritengo che, trattandosi di un controllo con cadenza di lungo periodo, basterebbe stabilire una data periodica, magari trimestrale, in cui effettuare il prelievo a tutti i pazienti del territorio che si trovano nelle stesse condizioni visto che altrove (per esempio Padova, dove mi sono già rivolto per il prelievo) quel sistema viene adottato”.
Ricordando il detto : “Chiedere è lecito e rispondere è cortesia” lo vogliamo completare affermando che in un caso come questo rispondere è doveroso, anzi obbligatorio. Ed è anche segno di buona educazione. Resta dunque l’interrogativo: perché per un semplice prelievo di sangue il paziente deve stare ricoverato in ospedale per tre giorni?