E’ una festa della tradizione simile a quelle che, in Umbria, fanno cultura
di Adriano Marinensi
La città dell’Aquila è ancora nei nostri cuori per il disastro provocato dal terremoto del 6 aprile 2009 (5,9 Richter – magnitudo 6,3), che causò 309 morti, 1600 feriti e danni per una decina di miliardi. In questi giorni, L’Aquila sta celebrando la tradizionale Festa della Perdonanza Celestiniana, solennizzata dalla visita pastorale di Papa Francesco. La prima volta di un Pontefice, durante i secoli di una delle manifestazioni storico – religiose più antiche d’Italia. L’UNESCO l’ha inserita nel suo patrimonio immateriale.
L’Umbria, che ha l’Aquila a poca distanza, è molto sensibile a tali eventi e per essi conserva una vasta letteratura che ne sottolinea l’alto valore culturale. L’elenco è numeroso, dalla Corsa dei Ceri di Gubbio a quella all’Anello di Narni, al Calendimaggio di Assisi, alla Processione del Corpus Domini di Orvieto, alla Quintana di Foligno, al Cantamaggio ternano e molte altre di buon rilievo. Si coniugano con la storia dell’arte, con la natura e i segni delle passate civiltà. Sono preziose occasioni di aggregazione e di comunità.
Facciamo allora un “salto mediatico” a L’Aquila per conoscere la Perdonanza che viene da molto lontano e, alla fine di agosto, magnifica la città abruzzese. Che, già nel XIII secolo, era un centro di passaggio lungo la via da Firenze a Napoli. Era nata da poco con una particolare struttura urbanistica, basata sui rioni, chiamati “locali” ed ogni locale aveva una piazza, una fontana e una Chiesa. L’Aquila che si gode la maestà del Gran Sasso, talvolta bianco lassù persino durante qualche spicciolo d’estate.
Tra le fontane la più conosciuta è quella delle 99 cannelle (1272), situata nel centro storico con i suoi 93 mascheroni in pietra, quanti furono, secondo la narrazione, i castelli del circondario che contribuirono alla edificazione della città. Poco fuori le mura ci sta un colle chiamato Collemaggio e sopra il colle una Basilica consacrata, nel mese di agosto del 1288, alla venerazione di S. Maria di Collemaggio. La ritroveremo più avanti, in occasione di eventi eccezionali.
A Roma, nel 1292, era morto il Papa Niccolò IV. Dopo due anni di un Conclave lunghissimo, i Reverendi Padri decisero di decidere. Scelsero un monaco eremita che viveva lontano dalle cose del mondo: Lo chiamavano Pietro del Morrone, dal nome del luogo dov’era il romitorio. Tre Vescovi lo andarono a cercare e, all’alba del 25 luglio 1294, da quella solitudine, partì il corteo papale. Per accompagnare l’eletto a L’Aquila, nella Chiesa di S. Maria di Collemaggio, dove l’asceta divenne Papa Celestino V.
Figura controversa questo Pontefice. L’Alighieri, che mandava all’Inferno chi non gli andava a genio, lo collocò tra gli ignavi nel Canto III della Commedia: “Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto , vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto”. La Chiesa cattolica lo ha fatto Santo e posto nel calendario liturgico il 19 maggio.
Onde inquadrare dagli annali la Festa della Perdonanza Celestiniana, va detto che in tal modo si chiama perché istituita proprio dall’eremita Pietro, messo quasi bizzarramente, sul Soglio di Pietro. Lui emanò una Bolla che dichiarava assolti dai peccati commessi quanti, sinceramente pentiti, fossero entrati nella Chiesa di S. Maria di Collemaggio, “dai vespri della vigilia di San Giovanni (Battista – 29 agosto, n.d.a.) ai vespri immediatamente seguenti la festività”.
Dunque, sin dal Battesimo, ogni colpa rimessa, visitando contriti in preghiera il tempio dove Celestino era stato vestito dell’abito bianco e dove è sepolto e venerato, in una Cappella, arricchita da un Mausoleo e da un portale laterale, denominato Porta Santa. Nel 1967, Paolo VI ha confermato la validità religiosa della Perdonanza, istituita dal suo lontano Predecessore che fu Vicario di Cristo dal 5 luglio 1294 (Perugia) al 13 dicembre dello stesso anno.
Non piacque la Bolla di Celestino a Bonifacio VIII che venne dopo di lui e tentò di emanarne un’altra per cancellare la Festa; ma era già inserita, dalla prima edizione del 1295, nel novero degli eventi della devozione. E vi è rimasta solennemente sino ai giorni nostri, come presidio religioso e di costume. Perché, sono proprio questi “appuntamenti” che fanno da tramite nel divenire delle generazioni e sanciscono il valore umano della storia popolare. E’ nostro dovere tutelarne gli aspetti fondamentali, seppure inseriti nel contesto aggiornato di una modernità rispettosa.