di Adriano Marinensi – Venerdì 8 giugno 1984, su “la Repubblica”, comparve un titolo enigmatico: “All’improvviso divenne pallido”. E il Partito comunista italiano ammainò disperatamente le bandiere rosse. Enrico Berlinguer, il Segretario di una grande storia politica, durante un comizio, a Padova, era stato colpito da un ictus devastante. “Enrico Berlinguer – iniziava così l’articolo – è in coma. Le sue condizioni sono gravissime, affermano i medici della clinica neurologica dell’Università”.
Il primo bollettino sanitario fu particolarmente drammatico: “Gli accertamenti clinici e strumentali hanno documentato l’esistenza di uno spandimento emorragico, per cui si è ritenuto opportuno procedere all’intervento chirurgico”. Era, in sostanza, l’annuncio della fine, avvenuta durante il mattino dell’11 giugno. Scrisse Paolo Guzzanti, in occasione del funerale: “Chi ha visto le immagini in televisione, si sarà fatta una idea. Roma si è dilatata per accogliere questo popolo comunista che sembrava una nazione e che, sotto un sole cocente, è andato a dire addio a Berlinguer”.
Il Segretario del PCI aveva cominciato a parlare verso le 21,30, in Piazza della Frutta, dinnanzi a circa 5000 militanti, giunti da tutto il Veneto. L’attesa era stata lunga per loro, in quanto, a Padova, Berlinguer mancava da diversi anni. Il discorso andò avanti per quasi un’ora, poi qualcosa parve rallentare il flusso delle parole. Si interruppe una, due, tre volte. Ci fu uno strenuo tentativo di proseguire da parte di Berlinguer, malgrado le forze stessero diminuendo. Disse, poco prima di arrestarsi, quasi volesse lasciare un monito testamentario: “I comunisti potranno avere mille difetti, nessuno però potrà negare la loro serietà, l’attaccamento alla democrazia, l’impegno nella difesa delle Istituzioni”. Poi, l’annuncio dal palco: “Il compagno Berlinguer si è sentito poco bene a causa del freddo e della stanchezza. Il comizio è finito”. La gente tornò a casa quella sera senza particolari timori per la sua salute. Soltanto alcuni delle prime file erano riusciti a percepire il dramma di quell’uomo tenace, sopraffatto e smarrito.
Il malore che, durante la sosta in albergo, parve regredito, riprese vigore e Berlinguer perse conoscenza. Il sangue gli stava invadendo il cervello e spegnendo le speranze. Quindi la corsa in ospedale e la diagnosi che, di lì a qualche ora, lasciò spazio allo sconforto. Il mondo politico italiano accorse al capezzale dell’uomo che aveva dato al suo partito ed al Paese numerosi “segni” di cambiamento di linea e di ideologia: l’uscita dall’orbita sovietica, l’eurocomunismo, il compromesso storico, tutti passi avanti in direzione di un modo di fare politica per costruire un modello di società moderna e democratica, con al centro il popolo sovrano, il popolo che lavora ed ha diritto di fare la storia. Insomma, tutt’altra pasta rispetto ad alcuni spenti compagni di oggi che trascinano la loro senilità politica, creando nuovi partiti.
Il P.C.I. lo aveva eletto Segretario generale il 13 marzo 1972, al Palalido di Milano, nel corso del XIII Congresso. E il suo carisma s’era affermato proprio per il rigore morale ed il coraggio delle scelte. Forse, da politico di razza qual era, una morte così l’avrebbe scelta lui. Più avanti negli anni, però così. Come un valoroso comandante sul campo di battaglia, di fronte ai suoi “militanti”, accorsi ad ascoltarlo con la devozione dovuta ad un leader autorevole ed amato. E, per l’ortodossia d’oltre cortina, forse un “compagno scomodo”. Ci fu chi avanzò l’ipotesi di un colpo di mano ai suoi danni, quando, nel 1973, durante una visita in Bulgaria, rimase vittima di un incidente stradale che gli procurò alcune ferite.
Sulla rivista “Rinascita”, fece pubblicare alcuni articoli per delineare le ragioni del “compromesso storico”, concepito per evitare, in Italia, involuzioni pseudo democratiche di tipo cileno. L’11 settembre 1973, in Cile, c’era stato infatti il colpo di stato militare, capitanato da Augusto Pinochet, con la destituzione e la morte del presidente eletto Salvador Allende. In uno degli articoli, Berlinguer parlò di “alternativa democratica” in sostituzione della vecchia “alternativa di sinistra”. Si prospettava cioè l’intesa tra le forze popolari di sinistra e quelle cattoliche. Prospettiva poi emersa negli incontri con il Segretario D.C. Aldo Moro, pochi giorni prima del suo rapimento (16 marzo 1978). C’era da perseguire un nuovo ordinamento imposto dalla gravità dei problemi italiani, dal pericolo di avventure reazionarie, ed “aprire alla nazione – scrisse ancora – una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale, di progresso democratico”. Dunque, la grande alleanza tra le forze popolari di sinistra e di centro che, seppure di differente storia di pensiero, avrebbero potuto dare stabilità al Governo ed al Paese.
Il 1975 – va ricordato per inciso – fu l’anno delle elezioni amministrative con il buon successo della sinistra, proprio quando, per la prima volta, votarono i diciottenni. Ed allora, un altro inciso mi sia consentito: il dibattito sulla proposta del voto a 18 anni (anziché a 21) promosso, nel 1971, dal Centro studi Vanoni, a Terni, quando ancora i sostenitori di questa proposta (e noi lo eravamo) potevano essere tacciati di eresia.
E’ del 1977, la famosa lettera di Berlinguer a Mons, Luigi Bettazzi, nella quale espresse la volontà di costruire, in Italia, un partito comunista “non teista, non ateista, non antiteista”. Qualcosa mai sentito prima. Anzi, una posizione destinata ad innovare i rapporti civili. E ancora: “Un originale modello socialista – lo disse (e ci mise un bel po’ di coraggio) in occasione del 60° anniversario della Rivoluzione d’ottobre – rivolto a realizzare una società nuova che garantisca tutte le libertà personali e collettive, civili e religiose, il pluralismo della vita sociale, culturale, ideale”. Quindi un comunismo senza più parole d’ordine e sudditanze programmatiche.
Quell’inizio d’estate del 1984, in Italia, era morto un comunista illuminato, mentre, in Russia, un altro se ne affacciava all’orizzonte: Michail Gorbaciov, l’ultimo Segretario del P.C.U.S., eletto alla carica l’11 marzo 1985. Si era alla vigilia della dissoluzione dell’URSS e dell’avvento al potere dell’uomo della perestrojka, della glasnost e del Nobel per la Pace. Ad est era accaduto molto di nuovo. La “stalin generation” era tramontata. Tra il gennaio 1990 e il dicembre 1991, in soli due anni, scomparve un gigante, l’Unione Sovietica, nato all’inizio del secolo. La caduta del Muro di Berlino (costruito 28 anni prima), avvenuta il 9 novembre 1989, aveva contribuito a smantellare il vecchio regime, dando all’Europa un nuovo assetto democratico ed una diversa geografia politica.