PERUGIA – Difficile anche per il pubblico seguire i ritmi indiavolati di questa settantreesima edizione della Sagra Musicale Umbria che sforna ogni giorno concerti mattutini, pomeridiani e serali.
Partiamo da giovedì quando Adriano Falcioni, in cattedrale, ha mostrato la sua fisionomia di autentico Uomo Vitruviano in un concerto che ha portato la firma di un vero, grande interprete. Oltretutto dotato di una indiscutibile potenza fisica e mentale nell’affrontare una pagina paradigmatica come Volumina di Ligeti, una gigantesca improvvisazione sul Tamburini che ha soffiato a più non posso gli agglomerati timbrici della più sconvolgente onnipotenza. Almeno per questa circostanza l’acustica scomposta e caotica della Chiesa Madre ha favorito la circostanza di evocare queste onde tempestose, mani, braccia e piedi. Falcioni in grandezza che prosegue con le Lamentazioni di Liszt per poi chiudere con la musica del suocero, il Wagner del finale del terzo atto della Walkiria, con la evocativa marcia funebre e l’Incantesimo del fuoco. La trascrizione è di Piergiovanni Domenighini, assistente di Falcioni nella consolle laurenziana, che oltretutto è lì a girare le pagine e ad aggiungere registri.
La sera di venerdì la convocazione era a san Bevignate con il tempio dei Templari ingentilito da aromi di incenso e di canti di uccelli in registrazione. Uno spettacolo un po’ ingenuo, ma toccante quello offerto da Soqquadro italiano e dal danzatore e cantore Vincenzo Capezzuto. Si trattava di Progetto-Bach, ovvero la manomissione della Passione di san Giovanni e di altri momenti topici della spiritualità bachiana. Mentre uno schermo, una specie di monolite nell’abside frantumava immagini tra cui si riconosceva, appena accennato il Cristo del Mantegna, Capezzuto ha accennato ad alcune movenze di toccante drammaticità per ricreare il percorso della cattura, del processo e della crocefissione di Gesù. Ammesso che ci fosse bisogno di una drammaturgia che ha già avuto miriadi di realizzazioni, quel che è risultato di un notevole interesse è stata la vocalità di Capezzuto che ha affrontato una bella manciata di arie, tra cui l’Agnus Dei della Messa in si minore sfruttando le risonanze da sopranista. C’era il microfono, è vero, ma l’impegno è stato solenne e ben marcato.
Ieri sera, di nuovo in cattedrale, questa incredibile idrovora acustica, per cercare di capire le architetture sonore del War Requiem di Britten. Impegno solenne per la Sagra che ha convocato il coro dell’Accademia di Santa Cecilia, fresco di una registrazione discografica del capolavoro. Per sostenere la massa vocale sono state fuse due orchestre, quella da camera di Perugia e la Giovanile di Fiesole, la compagine che ha segnato tante ricorrenze affettuose dei concerti degli Amici della Musica. A completare il percorso di una discesa agli inferi e di una richiesta di redenzione era presente anche la voce dell’innocenza, il Trinity Bois Choir diretto da David Swinson. Collocare i ragazzi tirannici nella cappella del Crocefisso è stata la salutare lezione per poterne captare gli impasti vocali.
Questa ciclopica opera della durata di un’ora e mezzo è particolarmente legata alla Sagra di Francesco Siciliani che la ottenne nel 1963, ad appena un anno dalla sua prima esecuzione britannica, collocandola in prima esecuzione italiana. Un altro primato che ieri sera la attuale Sagra si è nuovamente aggiudicata per solennizzare la chiusura del quadriennio della Grande Guerra, l’immane macello in cui l’Europa riuscì a consumare una intera generazione della sua gioventù.
Al disopra di un apparato narrativo che, partendo da certi stilemi propri del Requiem di Verdi, si addentra nelle particolari atmosfere armoniche che Britten desume da tutta la tradizione europea, dal gregoriano a Stravinskij, il War Requiem si vale dei testi poetici di un giovane autore inglese, Wilfred Owen, che cadde sul fronte francese nelle ultime fasi della Grande Guerra.
Il fortissimo impatto emotivo che ancora oggi provoca il pannello britteniano colloca la serata in san Lorenzo come una di quelle da collocare nei fasti del festival umbro.
Molte le componenti che hanno contribuito al successo, a partire dal giovane direttore Jonathan Webb che ha emulsionato la due orchestre in maniera da renderle sempre pari all’impegno richiesto. Coro di santa Cecilia stellare e onori al suo maestro, Ciro Visco. I tre cantanti solisti, beato chi è riuscito a sentirli nell’eco di quattro secondi che caratterizza l’espansione del suono nella chiesa metropolitana: erano Elisaveta Martirosyan, impegnata del testo del Requiem cattolico, Mark Milhofer, tenore e Dominik Koeniger, baritono, che riproducevano le poesie di Owen. Toccanti oltre la commozione, quando si leggano versi come “Oh, la morte non ci fu mai nemica”, e “Ma il vecchio non volle saperne e trucidò il figlio, e metà del seme d’Europa, uno per uno”. Musica estatica, congelata nella contemplazione del Trionfo della Morte. Ma timpani e grancassa a rullare per far sentire la voce del cannone. Inopinatamente l’ascoltatore davanti a noi, prima si è tappato vistosamente le orecchie, poi ha preso il giaccotto ed è fuggito via.
Riferendosi alle memorie della prima guerra mondiale, Britten si autoassolveva dall’aver disertato la chiamata alle armi per la seconda. Qualcosa che ci ricorda le drammatiche e non lontane vicende di tanta gioventù americana e il Vietnam.
Uscendo dalla cattedrale, partecipi dell’entusiasmo collettivo, ci chiediamo come fece Siciliani a riprodurre il War Requiem in san Filippo, chiesa che per bruttezza non ha niente da invidiare a san Lorenzo.
Stefano Ragni
(Foto di Adriano Scognamillo)