In Italia l’interruzione volontaria di gravidanza non è più un reato dal 1978. E le modalità di accesso sono disciplinate dalla 194. Almeno sulla carta. Una carta che in Umbria sembra non essere rispettata appieno. A quaranta anni dalla sua entrata in vigore ancora stenta l’applicazione. Per questo motivo le donne umbre hanno sottoscritto recentemente una lettera indirizzata alla presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini per ricordarle le gravi carenze sulle politiche sanitarie a favore delle donne.
Da otto anni giace nei cassetti del consiglio regionale umbro una delibera pronta per essere discussa sulla regolamentazione della pillola abortiva Ru486.
Per farsi un’idea: solo Narni e Orvieto su 12 ospedali umbri praticano l’aborto volontario con la RU486 e gli obiettori (medici che si rifiutano di effettuare l’Ivg chirurgica) sono il 73 per cento del totale.
L’applicazione della pillola abortiva al posto dell’intervento porterebbe a velocizzare la lista d’attesa che porta sulle proprie spalle il rimanente 27 per cento dei medici non obiettori. La 194 in realtà ha portato in questi ultimi decenni a mettere un segno meno al numero delle interruzioni. Dal 1982 ad oggi in Umbria si è passati da 4.042 aborti a 1.300, un -67 per cento.
E ora è arrivata la risposta tanto attesa. La giunta ha dato mandato alle aziende sanitarie regionali di applicare in tutte le sedi che effettuano interruzione volontaria di gravidanza chirurgica anche la metodica farmacologica con la somministrazione di RU486 già in uso da anni in molte regioni.
E così dopo 8 anni dalla stesura delle linee guida per il protocollo si sono rotti gli indugi tecnici, politici e personali per concedere anche alle donne umbre la libertà di scegliere.
La delibera 1417 del 4 dicembre scorso, su proposta dell’assessore regionale alla sanità Luca Barberini, era attesa dal 26 luglio 2011 quando furono messe nero su bianco le linee di indirizzo sull’interruzione volontaria di gravidanza con l’utilizzo del farmaco Ru 486 allora su proposta della stessa presidente Catiuscia Marini al primo mandato a palazzo Cesaroni e predisposte da un comitato tecnico scientifico che doveva monitorare una fase sperimentale di 12 mesi che sembrava non chiudersi mai; era già stato predisposto il percorso assistenziale per la donna, il consenso informato in regime di ricovero ordinario come in day hospital, pure stilata una scheda informativa.
Insomma tutto era già pronto: mancava solo l’avvallo finale, l’ultimo passaggio, il mandato ai direttori generali delle aziende sanitarie arrivato solo ora. Nel testo allegato alla delibera si precisa che “l’utilizzo del farmaco è subordinato al rigoroso rispetto della legge 194/78 a garanzia e a tutela della salute della donna”.